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08 Dicembre 2022 - 07:36
Mille infermieri persi in un anno. Da chi “scappa” dal pubblico per lavorare in strutture private o in cooperativa, a chi “appende al chiodo” il camice perché ha raggiunto l’età pensionabile e, non così raramente, finisce per riciclarsi per lavorare “a gettone” in ospedali e ambulatori rimasti senza personale e finire a guadagnare almeno il doppio dello stipendio di un collega del servizio pubblico. Dalla carenza di 4.077 infermieri riscontrata lo scorso dicembre in Piemonte dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche, infatti, il totale è arrivato ad oltre 5mila negli ultimi dodici mesi. Un circolo per nulla virtuoso che comincia a soffocare anche la nostra sanità, per cui i principali sindacati di categoria lanciano l’allarme a poche ore dai controlli condotti dai Nas in 1.936 strutture di tutta Italia e su 637 imprese e cooperative.
Controlli del Nas Obiettivo dei militari del Nucleo antisofisticazione, verificare le modalità di impiego di collaboratori esterni e l’attività di circa 11.600 medici, infermieri e operatori sanitari, per poi deferire alle autorità giudiziarie e amministrative 205 persone “irregolari” a vario titolo. Dottori con più di 70 anni di età tornati in corsia per supplire alle assenze dei colleghi, ma anche privi della specializzazione richiesta per operare in reparti delicati come i pronto soccorso, ma anche infermieri senza titoli. E questo a fronte di almeno 165 operatori sanitari con incarichi e turni “a gettone” ma irregolari individuati in ospedali e ospizi, come in una Rsa del Torinese e in un presidio ospedaliero di Vercelli.
Sindacati in allarme Ad accendere la preoccupazione del Nursing Up sono le cifre impressionanti pagate in Veneto dall’Asl della provincia di Venezia in un mese per un collaboratore infermieristico: fino a 6mila euro di stipendio a fronte dei 1.780 che guadagna un collega del servizio sanitario pubblico. A denunciarlo è il segretario nazionale, Antonio De Palma, a cui si associa anche il suo omologo in Piemonte, Claudio Delli Carri. «Per ora da noi la situazione è ancora “fluida” ma dobbiamo fare attenzione all’effetto emulativo, arrivare a casi limite come quelli del Veneto è un passo da cui, poi, sarà difficile tornare indietro. Secondo Delli Carri, infatti, «per le Asl è più semplice rivolgersi, come stanno già facendo per i medici, alle cooperative che non faranno fatica, con quegli stipendi, a trovare personale. Tagliamo pure a metà i 6mila euro lordi, ma significano sempre 3mila euro contro la metà o poco più che guadagna oggi un infermiere della sanità pubblica. Vorrei sbagliarmi, ma non ci vuole molto a prevedere che questo fenomeno si diffonderà velocemente a macchia d’olio». Un processo che sarà difficile evitare secondo il segretario del Nursind Piemonte, Francesco Coppolella. «Bisogna innalzare i tetti di spesa per il personale sanitario perché, altrimenti, trovarsi ad avere sempre più servizi esternalizzati sarà inevitabile e avranno costi altissimi» sottolinea Coppolella. «C’è il rischio, parecchio alto, che molti infermieri decidano di lasciare il servizio pubblico per poi rientrarvi sotto un’altra veste, lavorando meno e guadagnando molto di più, viste le condizioni in cui si trovano a operare oggi, a dir poco difficili, ma soprattutto con gli stipendi che ricevono e conosciamo ormai molto bene».
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