La chiamano “nebbia mentale”, quel momento in cui ci perdiamo nella normalità di una qualsiasi azione, dimenticandoci per un istante di ciò che stavamo facendo. Un dramma, per molti, per i più difficile anche solo da spiegare. Ma soltanto uno dei dieci principali sintomi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per cui ci ritroviamo consapevoli di avere avuto il Covid, anche dopo aver ottenuto un tampone “positivo” dopo il contagio o, persino, dopo non avere sviluppato alcuna malattia respiratoria. Strascichi che partono dai disturbi cognitivi, arrivano al l’insonnia, alle alterazioni del gusto e dell’olfatto, alla tosse e ai dolori più fastidiosi a livello del petto, piuttosto che a una continua sindrome da affaticamento o, ancora, a spasmi persistenti a livello muscolare. Come se avessimo fatto una maratona. Long Post Covid, la chiamano. Una sindrome che non ha ancora una precisa definizione ma a cui, nei casi più gravi corrispondono anche patologie più gravi, fino alla fibrosi polmonare. Non ancora una vera e propria malattia, ma sicuramente il riscontro di quanto la pandemia abbia tracciato nuovi confini rispetto alle patologie tradizionale. Solo alle Molinette sono almeno in 1.500 i pazienti in “follow up”, ovvero, quanti seguono il percorso per cui, dopo l’infezione da Covid, si passa al ricovero in terapia semintensiva o intensiva, per via della malattia. Altrettanti, almeno, sarebbero quelli che ha in cura il Mauriziano, secondo il riscontro della Pneumologia diretta dal professor Roberto Prota. E il riscontro non è dissimile all’Asl Città di Torino, tra Maria Vittoria e Amedeo di Savoia, nonostante una percentuale che per l’Organizzazione mondiale della Sanità viaggia tra il 10% e il 20% dei contagiati. Parliamo di almeno 340mila possibili contagiati durante la pandemia e in particolare nella prima e seconda ondata, per i quali lo strascico si è protratto anche oltre il ricovero in ospedale, se non peggio anche dopo una condizione paucisintomatica. Questo il prospetto a fronte di 1,7 milioni di infezioni di cui circa 910mila soltanto in provincia di Torino. «In questi ultimi anni abbiamo seguito all’incirca 1.500 pazienti che abbiamo seguito dopo il ricovero in terapia semintensiva o intensiva a causa del Covid» spiega il professor Carlo Albera della Città della Salute e della Scienza. La percentuale, arrivando a un limite minimo di poco più di un quarto, arriva alle stesse cifre anche tra i più piccoli. Gli ammalati che sono stati ricoverati al Regina Margherita e poi seguiti sono circa 600. «Stiamo continuando a seguire pazienti che hanno avuto strascichi dal Covid» conferma la dottoressa Silvia Garazzino del Regina Margherita. Entrambi convengono sul fatto che della cosiddetta “Sindrome Long Post Covid” si sappia poco. Di certo c’è una galassia di sintomi che per chi lo vive, ancora oggi, spazia dalla “nebbia mentale” con blocchi di coscienza preoccupanti, anche nel breve termine a scompensi a livello psicofisico per cui anche solo andare a lavorare diventa complicato. Sia per i pazienti più grandi che per i più piccoli, uno dei principali esercizi che testimoniano di una resilienza del virus o dei suoi effetti è il cosiddetto “test del cammino” che, a fronte di una conferma dei sintomi anche a distanza di otto o dodici settimane dal contagio, può ancora confermare la persistenza di una patologia correlata o dipendente dal contagio da Covid. Al momento, difficile da chiarire del tutto anche solo nei numeri. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, infatti, «una stima precisa della prevalenza è difficile».
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