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Salute
16 Aprile 2025 - 21:05
Patogeni
Nonostante i progressi straordinari della ricerca, in Italia sei persone su dieci ricevono una diagnosi di HIV quando è ormai troppo tardi. A lanciare l’allarme è Massimo Andreoni, professore emerito di Malattie Infettive all’Università di Roma Tor Vergata e direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit), durante l’HIV Summit: Ending the HIV Epidemic in Italy, tenutosi a Roma.
Secondo Andreoni, il 60% dei nuovi casi viene scoperto in fase avanzata, quando il sistema immunitario è già gravemente compromesso. Ma il dato che più preoccupa è un altro:
“Dodici mesi prima della diagnosi, la maggior parte di questi pazienti aveva avuto un contatto con un medico di base o con uno specialista. Tuttavia, i segnali della malattia non sono stati colti, e lo screening non è stato proposto”.
Oggi, spiega l’infettivologo, i trattamenti per l’HIV permettono a oltre il 90% dei pazienti in cura di tenere il virus sotto controllo. Eppure la diagnosi precoce continua a essere un’eccezione.
“Trattare un’infezione in fase avanzata significa ridurre l’aspettativa di vita del paziente”, sottolinea Andreoni. “Una diagnosi tempestiva, invece, consente di vivere a lungo con una qualità di vita simile a quella della popolazione non infetta”.
Il numero di screening effettuati resta basso, e secondo Andreoni il problema è anche culturale:
“Oggi si parla troppo poco di HIV. La malattia è sparita dal dibattito pubblico e molti non ne conoscono più nemmeno i sintomi”.
Per questo, secondo l’esperto, è fondamentale rilanciare le campagne di informazione e ampliare l’accesso ai test, anche attraverso i medici di base.
Dai dati presentati al summit emerge anche un profilo epidemiologico ben preciso: la maggior parte delle nuove diagnosi riguarda uomini, sia eterosessuali che non. Le donne rappresentano una percentuale minore, in particolare straniere ed eterosessuali.
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