È uno dei Vip più cercati dal pubblico torinese in queste prime ore di Torino Film Festival: Marco D’Amore, l’immortale Ciro della serie “Gomorra”, è stato ieri al Tff per presentare in anteprima il suo secondo film da regista, “Napoli magica”, che dal 5 al 7 dicembre sarà al cinema in tutta Italia.
Qual è la magia di Napoli? «Questo film è un’eccezione perché è un enorme fallimento, un lavoro incompiuto e incompleto: ogni volta che si affronta un tema così grande, o quando si parla di amore, famiglia, conflitti, non si può essere esaustivi o definitivi, non si può dire di aver capito il tema. È una delle città più complesse e stratificate d’Europa».
Cos’è Napoli per lei? «Insieme al piemontese Francesco Ghiaccio con cui ho scritto il film, abbiamo deciso di raccontare Napoli attraverso i suoi luoghi comuni. Il primo è stato la frase “vedi Napoli e poi muori”. Il mio personaggio infatti muore, e dopo un inizio in mezzo alla gente poi scendiamo sotto la città. Napoli ha un’eredità culturale unica che viene regalata a ogni abitante, basta chiedere a qualsiasi bambino o bambina e saprà chi è Eduardo, conoscerà qualche canzone tipica o altro del nostro patrimonio. È bastato accendere la camera e andare per strada per creare la magia».
Come ha scelto che cosa raccontare della città? «Più che altro dovrei dire a quante cose ho dovuto rinunciare, cosa non ho raccontato. Sogno la prima a Napoli per sentirmi dire dalla gente quello che non ho detto o ho fatto vedere... So già cosa rispondere: fatelo voi, andate voi e raccontate quel che manca».
Per la gente resterà sempre Ciro di Gomorra, è una cosa che le pesa? «Per nulla, anzi. Sogno che tra vent’anni ancora mi fermino per citare quell’esperienza, è stata bellissima. Ci siamo lasciati dopo otto anni perché era finito il percorso, ma ho ottimi ricordi di quello che è stato. Proprio da lì è nato questo progetto, dopo tanto tempo a raccontare una cerca Napoli ho voluto far vedere anche altro».
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Lei è cresciuto a Napoli ma poi l’ha lasciata. «Sì, l’ho vissuta in modo molto vivo fin da ragazzino, è stato un periodo di formazione importante, poi c’è stato l’esilio a 18 anni e il ritorno quando ne avevo 30, proprio per “Gomorra”, avendo però nel frattempo maturato esperienze lontane, studiando a Milano».
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