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Terremoto Juventus: si è dimesso Agnelli con tutto il Consiglio

CdaJuve
Se possibile questa notizia fa ancora più rumore di quando la “triade” ai vertici della Juve cadde sotto i colpi di Calciopoli, mentre la squadra veniva sbattuta in serie B: Andrea Agnelli, dopo dodici anni, non è più il presidente della Juventus e con lui se ne va l’intero consiglio di amministrazione, inseguiti dalle accuse dell’inchiesta sul “caso stipendi” e sui falsi in bilancio.

Via tutto il Cda

La notizia arriva in serata, dopo un consiglio d’amministrazione straordinario, e con un comunicato stampa che segue quello sui siti dei soggetti di Borsa. «Su proposta del presidente Andrea Agnelli e onde consentire che la decisione sul rinnovo del Consiglio sia rimessa nel più breve tempo possibile all’Assemblea degli Azionisti - si legge in una nota diffusa dalla società - tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione presenti alla riunione hanno dichiarato di rinunciare all’incarico». Quindi, dimissioni per Agnelli, il vicepresidente Nedved, l’amministratore delegato Maurizio Arrivabene, i consiglieri Laurence Debroux, Massimo Della Ragione, Katryn Fink, Francesco Roncaglio, Giorgio Tacchia e Suzanne Keywood. E nella nota si comunica che «per rafforzare il management» è stato nominato direttore generale Maurizio Scanavino, amministratore delegato di Gedi, il gruppo editoriale degli Elkann.

Arrivabene resta

A Maurizio Arrivabene - che è l’uomo di Exor ossia di Elkann in seno alla Juve -, tuttavia, il consiglio ha chiesto di rimanere in carica come amministratore delegato. Una nota merita poi il caso di Daniela Marilungo, consigliere indipendente - non indagata nell’inchiesta della procura di Torino - le cui dimissioni sono “separate” e irrevocabili, in quanto sostiene, nella sua qualità di membro del “comitato rischi”, di non aver potuto agire «pienamente informata». Ossia, non era al corrente delle manovre di bilancio contestate, o almeno così si deduce. Adesso l’intero consiglio rimane in regime di “prorogatio” fino all’assemblea degli azionisti del prossimo 18 gennaio (sarebbe dovuta essere il 23).

L'inchiesta

Le dimissioni di Agnelli e del consiglio arrivano un mese dopo la chiusura della maxi inchiesta sui presunti falsi in bilancio avviata dalla procura di Torino mesi fa. E nei giorni in cui, a partire dallo scorso venerdì, sono iniziati gli interrogatori dei primi indagati: ieri sono stati sentiti i revisori dei conti, mentre alla fine della scorsa settimana era stata la volta dei sindaci. Tutte figure che nell’inchiesta potrebbero essere considerate minori, ma che, a livello contabile, hanno un ruolo prezioso: sono coloro che avrebbero dovuto controllare i conti della società, con i dati che ovviamente avevano in mano nel momento in cui erano chiamati a svolgere il loro compito. Il nodo cruciale dell’indagine, riguardo al quale gli indagati principali - come Agnelli, per il quale era stato chiesto anche l’arresto - potrebbero avere posizioni diverse e conoscenze diverse sui fatti rispetto agli indagati cosiddetti minori - sono le «manovre stipendi». Fin dalla chiusura dell’inchiesta, è emerso presto - ed è diventato chiaro agli stessi indagati - che il nodo più spinoso non sarebbe quello delle plusvalenze artificiali (tema sul quale accusa e difesa hanno tesi differenti), ma quello degli stipendi dei giocatori. La tesi della procura è semplice: durante la pandemia la Juve avrebbe stipulato contratti privati e segreti con i giocatori, a cui era stato chiesto di rinunciare a determinate mensilità. Queste ultime - come forma di debito da saldare nei mesi o negli anni futuri - non sarebbero state dichiarate con la dovuta precisione nei bilanci del 2020 e 2021. Da qui, l’accusa, da parte dei pm Mario Bendoni, Ciro Santoriello e dell’aggiunto Marco Gianoglio, del falso in bilancio. Reato che per la procura, sarebbe rimasto sussistente anche riguardo al 2022, anche se formalmente la contestazione non è stata mossa riguardo all’anno in corso, visto che l’esercizio non è chiuso.

Il ruolo della Consob

La questione degli interrogatori, peraltro, non è secondaria: nella nota, la Juve precisa che il consiglio ha preso la decisione dopo ulteriori analisi, tramite analisti indipendenti delle contestazioni mosse, anche se le cosiddette “dilazioni” degli stipendi nella fase Covid non avrebbero avuto ripercussioni sull’attuale bilancio. In pratica, è come se i vertici avessero preso contezza di una situazione ben più grave di quanto stimato finora. E poi c’è il ruolo Consob, contro cui la Juve aveva in animo un ricorso, evidentemente ora accantonato alla luce di nuove valutazioni, tanto che l’assem - blea azionisti è slittata due volte. La cosiddetta “finanza creativa” legata alle plusvalenze di mercato e al valore dei calciatori finora era oggetto solo della giustizia sportiva, mentre quella ordinaria non aveva mai trovato né elementi né appigli oggetti - come fai a stabilire che un calciatore stravalutato è un bidone se chi compra e chi vende sono d’accordo sul prezzo? - ma adesso è stata la Consob, che controlla le società operanti in Borsa, a voler chiarire queste manovre. E una Spa come la Juve - incastrata in un gruppo ben più grande come Exor a sua volta in Stellantis che ha molti più soggetti cui rendere conto che non la “piccola” Fca - non può rischiare su questo fronte.

Che succede ora?

Al di là dell’azione della procura, ora tutto passa dall’assemblea degli azionisti, che dovrà indicare un nuovo consiglio di amministrazione o anche respingere le dimissioni dell’attuale, per quanto questa opzione appaia improbabile. Anche se, la nota la precisa, il board Juventus rivendica la regolarità sia delle questioni plusvalenze sia la dilazione degli stipendi tagliati in periodo Covid e trasformate in clausole di lealtà per favorire i giocatori rimasti (i famosi 20 milioni mancanti di Ronaldo non sarebbero dovuti per la partenza del portoghese?). E poi c’è un bilancio in rosso di oltre 250 milioni di euro, una stangata sui conti derivante dalla mancata qualificazione Champions, la necessità di rafforzare una situazione pericolante. Non è escluso, quindi, l’arrivo di un nuovo azionista di gran peso.
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