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Il personaggio
22 Settembre 2024 - 14:17
Marco Tardelli, nato sotto il segno della Bilancia - proprio come Bearzot e Paolo Rossi, il destino di quel Mundial 82 - compie 70 anni. Il vecchio "Schizzo", o "Coyote" come lo chiamava Bearzot, come vive questo traguardo, lui che il mondo del calcio ora lo osserva dall'esterno, da commentatore? «Nel calcio cresci con addosso la data di scadenza. Io invece mi sono concesso molte altre date. E le ultime, praticamente da ragazzino: mi sono reinventato un futuro, ho traslocato a Roma, cambiato tutto. Per fortuna, i miei 70 anni sono diversi da quelli di mio padre. Che ci arrivò esausto».
In vista dei suoi settant'anni, Marco Tardelli, eroe del Mundial con quell'urlo nella finale con la Germania, e protagonista con Juve e Inter, ha concesso una intervista al Corriere della Sera. Ecco alcune delle cose più interessanti che ha raccontato. A partire dall'infanzia, dalla famiglia nel segno... del pallone. «Avevo tre fratelli, per la disperazione di mia madre, giocavamo tutti. Flavio bravissimo, ma svogliato. Tullio tosto, un Gattuso. Danilo il più forte, un Beccalossi: doveva andare al Torino. Io ho fatto il calciatore perché non ho mai mollato. A scoprirmi al San Martino fu l'allenatore, Romano Paffi. C'era il Pisa che chiedeva due suoi calciatori. Me, non mi volevano perché ero un seghino. Ma lui li obbligò: se volete quei due, prendete anche Tardelli. E se poi non va bene, me lo ridate. Gli altri due tornarono indietro, io no».
«D'estate facevo il cameriere all'hotel Duomo. Un bulletto: portavo sei piatti tutt'insieme e mi cadevano, poi scappavo per vedere Gigi Riva che in tv giocava a Messico '70... Meno male c'erano i miei fratelli, a coprirmi. Ogni tanto ci chiamavano al Ciocco a servire e noi correvamo: pagavano cento volte meglio. Servii anche Zoff, che era in ritiro col Napoli. Quando arrivai alla Juve, glielo dissi: "Lo sa - gli davo del lei - che io la servivo al ristorante?". Eravamo in sala da pranzo. E lui, ad alta voce: "Oh, ragazzi, questo qui era il mio cameriere!". Incredibile, la vita: prima ti porto il piatto al tavolo, poi alziamo insieme la coppa del mondo».
Dice che non ha più giocato, una volta ritiratosi, neppure le partite tra vecchie glorie. «Non m'è più piaciuto. Mi son buttato su cose che non immaginavo: ho fatto il conduttore tv, scrivo per un giornale. Ho imparato». Un ricordo dell'arrivo, ragazzino, alla Juve del presidente Boniperti «Un papà col quale litigavo, sapeva essere duro e generoso. Come arrivai alla Juve, mi levò braccialetti e collanine, m'obbligò a tagliarmi i capelli. Poi un giorno, mentre firmavo autografi, gli chiesi la penna in prestito. Mi passò la Cartier d'oro e mi disse: tienila, te la regalo. Era uno che non ti faceva mai sentire solo. Come Agnelli, del resto. Una volta m'ero fatto male e lui mi chiamò: le mando il mio massaggiatore, vedrà che bravo... Venne questo massaggiatore. E mi stirai di nuovo. Allora mi ritelefonò: come va? E io: mah, quasi quasi me la taglio, questa gamba... "A me lo dice, Tardelli?". M'ero dimenticato che era zoppo».
E la Juve di oggi? Con gli eredi degli Agnelli dice che ha "un rapporto diverso. Non è più la stessa cosa".
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