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Sempre gli stessi: tra Allegri, Conte e Gattuso, il calcio italiano sceglie il passato e dimentica il coraggio

Ritorni in panchina, nostalgie azzurre e zero spazio all’ignoto: solo le piccole provano a cambiare davvero

Sempre gli stessi: tra Allegri, Conte e Gattuso, il calcio italiano sceglie il passato e dimentica il coraggio

Massimiliano Allegri è tornato. Di nuovo. Perché nel calcio italiano, i cerchi si chiudono sempre allo stesso modo: con un ritorno. La sua traiettoria professionale sembra tracciata col compasso. Milan, Juventus, ancora Juventus, e ora di nuovo Milan. Una carriera palindroma, come dicono quelli che si divertono con le carriere su Wikipedia.

Ma qui non si tratta di romanticismo, né di destino. È la strategia prediletta di un intero sistema, che preferisce la strada già battuta all’avventura del nuovo. Il tecnico esperto, l’usato garantito, la certezza del nome che “ha già dato” – anche se, ultimamente, ha dato poco.

E Allegri non è il solo. La prossima Serie A sarà un album di figurine ripetute: Sarri torna alla Lazio, Pioli si prepara a riabbracciare la Fiorentina. Antonio Conte è rimasto al Napoli, tra ovazioni e sollievi: difficile trovare un allenatore più "garanzia di risultato" di lui. A Roma, l’addio di Ranieri ha il sapore dell’addio al calcio giocato – ma solo dalla panchina: resterà dietro le quinte. E al suo posto arriva Gian Piero Gasperini, veterano del campionato che conosce la Serie A meglio del proprio salotto.

La Nazionale non fa eccezione. Dopo il disastro norvegese e il congedo forzato di Spalletti, il primo nome sul tavolo era ancora una volta Claudio Ranieri. Ma lui ha declinato, e al suo posto è arrivato Gennaro Gattuso. Grinta da vendere, spirito da guerriero, ma zero exploit memorabili come tecnico. È un’operazione revival, più che un rilancio progettuale.

Il copione è sempre lo stesso: quando si tratta di scegliere, si torna dai soliti noti. Le idee nuove, se arrivano, non durano. Basta vedere com’è finita per Thiago Motta e Fonseca: esperienze archiviate in fretta, come se l’innovazione avesse una scadenza brevissima.

Eppure, in fondo al tabellone, qualcosa si muove. Le squadre piccole – forse perché hanno meno da perdere, forse perché hanno più fame – stanno provando davvero a cambiare le regole del gioco. Il Como ha scommesso e vinto su Fàbregas, tenendolo stretto nonostante le sirene dei grandi club. Il Parma ha affidato la squadra a Carlos Cuesta, 29 anni, lo “stagista” dello staff di Arteta all’Arsenal. A Cagliari ci sarà Fabio Pisacane, promosso dalla Primavera.

Sono nomi che oggi fanno notizia solo per la loro novità, ma che potrebbero segnare la strada per un calcio diverso. Come Vincenzo Italiano, che partì da La Spezia e oggi si gioca l’Europa con il Bologna.

Il calcio italiano, nel frattempo, resta fermo sull’idea che il passato sia più affidabile del futuro. Rincorre la sicurezza, diffida dell’inatteso. E così, anno dopo anno, ci ritroviamo sempre allo stesso punto. Con un Allegri in più. O in meno. Ma con l’impressione che, alla fine, cambino solo le date.

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