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Futuro sportivo
24 Luglio 2025 - 13:40
C’è una nuova protagonista nel mondo dello sport e non ha muscoli, ma algoritmi. Si chiama intelligenza artificiale, e sta ridefinendo ruoli, strategie e obiettivi nel panorama agonistico globale. I dati parlano chiaro: secondo uno studio di Precedence Research, il mercato mondiale dell’AI applicata allo sport ha raggiunto quasi 9 miliardi di dollari nel 2024 e sfonderà quota 10 miliardi entro la fine del 2025. Ma è solo l’inizio: si prevede che nel giro di nove anni gli introiti supereranno i 60 miliardi, con una crescita annua del 21%.
In cima alla classifica degli investimenti c’è il Nord America (35% del mercato), grazie a campionati iper-strutturati come NFL, NBA e MLB. L’Europa segue con il 24%, trainata dal calcio, mentre l’Asia (22%) investe con forza grazie a Paesi come Cina, Giappone e Corea del Sud.
A Liverpool, la squadra campione della Premier League utilizza piattaforme AI per migliorare le tattiche sui calci piazzati. In NBA si sviluppano software per rivedere rapidamente ogni partita e prevenire infortuni come la rottura del tendine d’Achille. In Italia, il consorzio Vero Volley ha stretto un accordo con K-Sport per monitorare carichi di lavoro e performance tramite sensori intelligenti, riducendo il rischio di infortuni da sovraccarico.
“La chiamano AI Euphoria – spiega Gianpaolo Martire, marketing manager di Vero Volley – perché l’eccitazione attorno all’AI sta contaminando ogni settore, compreso quello sportivo”. Secondo Martire, l’intelligenza artificiale non solo migliora allenamenti e prevenzione medica, ma ottimizza anche logistica, pubblicità personalizzata, gestione dei social media, CRM e marketing automation.
E non si parla solo di club professionistici. L’AI supporta anche l’inclusione: avatar e assistenti virtuali aiutano giovani atleti sordi, mentre applicazioni mediche scansionano gli atleti per identificare fragilità fisiche prima ancora che si manifestino. Un’innovazione che, secondo l’esperto Francesco Elmi, “è una culla di opportunità” e può anche ridurre i pregiudizi nello scouting, come dimostra uno studio della Toronto Metropolitan University focalizzato sulla valutazione dei talenti in base al merito e non all’apparenza fisica.
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