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Del perché non dovreste privarci di Adani (nelle telecronache della Nazionale)

Dal "pranzo al sacco" alle iperboli, lo stile senza mezze misure: o lo ami o lo detesti

Del perché non dovreste privarci di Adani (nelle telecronache della Nazionale)

Daniele Adani, da Correggio, classe 1974, porta la minestra a casa facendo il telecronista (commento tecnico) di spalla a Alberto Remedio (volto e voce storica delle partite degli azzurri in RAI).

È stato giocatore, anche con discreti trascorsi, ma ad un certo punto della carriera deve aver ritenuto più interessante dedicarsi alla professione di commentatore TV.

Il suo stile, nel commentare, è tale da aprire solchi incolmabili: o lo ami o lo detesti.

C’è chi (non del tutto a torto) ritiene che sia un po’ troppo sopra le righe, in pratica abbia la tendenza (condivisa con altri suoi colleghi) a “sovra-parlare”, ossia non limitarsi a considerazioni di carattere tecnico strettamente dedicate alle azioni che si svolgono sul campo, ma spinto chissà da quale anelito di egocentrismo, farsi giudice, censore e arbitro ultimo, propenso al sentenziare verdetti che quelli della Cassazione al confronto sembrano timidi consigli per gli acquisti.

Beninteso, sempre meglio di quella nutrita pletora di commentatori che stanno tutto il tempo con il “...eh, ma se la dava di prima a quello...o a quell’altro”, in bocca che sono e rimangono quanto di più distante un comune mortale al quale punge vaghezza di assistere ad un incontro di calcio in tv, vuole sentirsi raccontare (ma vacce tu in campo allora, no?).

Tornando a Adani. ospite fisso alla Domenica Sportiva (un format monolite che devono aver trovato scavando sotto Via Teulada e da allora se lo son tenuto buono) dove però, forse a causa della platea piuttosto folta di “colleghi” (ex giocatori, ex tennisti, ex arbitri, ex qualunque cosa...) si limita e si contiene ad un registro più consono alla situazione, dona il meglio di sé (ai limiti dello stalking nei confronti della prima voce Alberto Remedio) quando indossa le cuffie e si lancia nella partita della Nazionale come fosse davvero anche lui (ancora) in campo.

Memorabile la preghiera laica, infarcita invero di venature religiose, durante i recenti mondiali in Qatar, dedicata a tal Leonel Messi (e di conserva alla nazionale argentina, nazione verso il cui calcio pratica una sorta di venerazione). Arrivando a sollecitare tutto il pubblico RAI ad inginocchiarsi innanzi a qualche giocata memorabile della “Pulce” con il numero 10 sulla maglia.

Fra le sue battute “gli porta via la merenda” è una delle più riuscite (di solito utilizzata quando un giocatore ruba il pallone ad un altro, indipendentemente dalle modalità), o ancora “nel percorso” (altra frase rito che sta ad intendere l’aver seguito da tempo tal giocatore e averne apprezzato i miglioramenti). Ha quindi un suo stile, colorito quanto si vuole, ma che lo distingue in modo inequivocabile.

L’altra sera, durante la partita contro l’Israele, ha rotto gli argini (e c’è da dire che l’incontro, con la sua altalena di marcature gliene ha fornito buon pretesto). Il Ringhio horror picture show, andando in onda come si conviene sulla rete ammiraglia, deve averlo ispirato fino a fargli esprimere frasi lapidarie “è un pranzo al sacco” (alludendo probabilmente alla facilità con la quale arrivavano i gol, da una porta all’altra, grazie ad una non proprio attenta presenza dei difensori, intenti probabilmente al consumo del pasto) “è come una gita scolastica!”. Al punto da intimare ad un pur vaccinato Remedio, “dai, dillo, dillo, non ci sono più i difensori di una volta, dillo con me”. Non sappiamo, “off the record” cosa e quante gliene abbia dette quest’ultimo. Possiamo immaginarlo.

Subito sui social si è scatenata la polemica, come detto il personaggio, il suo modo di commentare, non consente posizioni terze, o lo ami o lo detesti.

Propendo per i primi. Delle telecronache asettiche e compassate, avendo una certa, forse siamo un po’ tutti stanchi. Ben venga chi, anche ricorrendo a battute al vetriolo, con tutte le sfumature dell’enfasi (ma sempre nei limiti del lecito...in ossequio alla tradizione democristiana dura da cancellare) e chissà forse anche col beneplacito stesso (“ahò questo fa audience, tenemoselo bbono”) dei paludati vertici di Viale Mazzini, ha il dono di accompagnare le gesta della fu gloriosa Nazionale italiana, con uno stile personale, svecchiato, spolverato di bar sport (l’epopea di quando le partite o le vedevi così o nisba, le pay tv di là da venire), che è capace (come non bastasse) di rendere meno noioso quanto accade in campo.

Lunga vita a Lele Adani, terrore della noia e prolifico inventore di metafore.

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