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LONGFORM - L'ECONOMISTA SCOMODO LANCIATO DA EZRA POUND
06 Giugno 2023 - 11:12
Questo volumetto edito dalla casa editrice Mimesis, nella collana Oro e Lavoro, tradotto e curato dallo studioso Luca Gallesi con una corposa introduzione all’opera, è un piccolo classico della storia dell'economia
STORIA DEI CRIMINI MONETARI
Alexander Del Mar
a cura di Luca Gallesi
Mimesis Edizioni
12 euro
Il suo autore Alexander del Mar ingegnere civile e minerario ma anche grande economista, statistico e storico dell'economia approfondì nell'arco della sua vita lo studio e la conoscenza dei metalli preziosi e il ruolo che questi ebbero fin dai primordi nei sistemi monetari di ogni epoca e la giusta quantità di moneta circolante per tenere in equilibrio il sistema e la sua distribuzione ,per un principio di giustizia ed equità nella società . Il suo interesse per l'economia e per la storia dell'economia ha fatto sì che questo ingegnere abbia dato alle stampe riviste periodiche e una grandissima produzione di libri e manuali scientifici, tanto per citarne uno solo “History of Monetary Systems” del 1896.
Alexander Del Mar era considerato un economista eccentrico e controcorrente nonché polemista gran fustigatore e nemico dell’establishment e della speculazione finanziaria, insomma non apparteneva al gran giro degli studiosi mainstream del suo tempo. Era un uomo che non aveva paura di farsi dei nemici, fu anche il primo direttore dell’Ufficio statistica del Tesoro americano e, come membro della commissione monetaria, fu delegato degli Stati Uniti ai congressi internazionali di Torino (1866) e di San Pietroburgo (1872). Diede alle stampe “ Storia dei crimini monetari” nel 1901 con il titolo “Barbara Villiers, or a History of Monetary Crymes”. Barbara Villiers era l’amante di Carlo II d’Inghilterra, salito al trono dopo la “rivoluzione“ cromwelliana con la restaurazione della monarchia. A costei il monarca concesse le rendite del signoraggio spettanti al re e attraverso lei il ceto emergente di orafi/cambiavalute e banchieri ottenne il privilegio dell’emissione del denaro che era , ab antiquo, sempre stata prerogativa della Corona ,intesa c ome istituzione dello stato, mentre ora passava in mani private.
Non facendo parte dei circoli accademici e finanziari ufficiali, Del Mar fu oggetto di una sorta di ostracismo culturale e di rimozione nella prima metà del secolo ventesimo, morì nel 1926 e non fece in tempo a vedere il disastro del ’29 determinato dalla bolla, indotta dalla feroce speculazione finanziaria che aveva sempre avversato, che fece crollare Wall Street. Fu rivalutato e rilanciato dal poeta Ezra Pound all’epoca detenuto nella clinica psichiatrica S. Elizhabeth, alla fine degli anni ’40 del novecento. Mentre, più recentemente, i premi Nobel per l’economia Lawrence Klein, Robert Mundell e James Tobin ne hanno, insieme ad altri insigni economisti, riconosciuta la grandezza. D’altronde le tematiche di cosa sia e cosa sia diventato il denaro, come venga creato e dei soggetti che lo creano sono di strettissima attualità. Ezra Pound, malgrado la sua condizione di cattività, dunque, continuava nella sua opera di poeta e grande agitatore culturale. Divenne consulente editoriale della piccola editrice di New York “Kaspar & Horton” che calamitò importanti collaborazioni di professori di prestigiose università americane, solo per fare un nome, anche quella del famoso studioso dei media Marshall McLuan. Pound nel filone delle sue tematiche contro l’usura rieditò la stampa anastatica di A History of Monetary Crimes e citò più volte Del Mar nel Canto 97 e nelle ultime sezioni dei Cantos, sul filo del tema centrale della prerogativa di emettere moneta conditio sine qua non della sovranità dello stato.
Storicamente in occidente, nell’antichità, le monete potevano essere di metalli vili come il ferro, forgiate, limate e rifinite a mano, fino ad arrivare all’uso e al conio del rame ,del bronzo, dell’oro e dell’argento. Nel mondo dell’antica Grecia, per via della presenza di miniere d’argento circolavano molte monete di questo metallo e il rapporto di peso tra monete di argento e di oro dello stesso valore era dieci a uno in Grecia, sei e mezzo a uno in India, di tredici a uno in Persia. I Persiani, cambiando l’argento greco con l’oro in India realizzavano un profitto del cento per cento, i greci della metà. Il rapporto di valore dell’argento rispetto all’oro diventò per molti secoli, fino alla caduta dell’impero romano d’oriente, una delle basi della stabilità degli imperi. Le monete d’oro e d’argento comparvero a Roma con la conquista della Magna Grecia, ai tempi della Repubblica venivano coniate, dalla zecca di stato con un rapporto di dieci a uno nell’interesse dello stato. Con la conquista della penisola Iberica nel 206 A.C. da parte di Scipione l’Africano ,il nobile e condottiero romano mise le mani sulle ricche miniere d’argento ivi presenti. Questo scatenò una guerra tra le famiglie patrizie romane per il controllo delle miniere e della coniatura, anche se, nominalmente queste appartenevano allo stato. Si assistette così all’apparizione di monete di conio “privato” emesse dalle grandi famiglie nobili romane , mentre lo stato mantenne il monopolio dell’estrazione e del conio dell’oro. Le monete cosiddette delle “gentes” erano coniate con un valore rispetto a quelle d’oro di dieci a uno fino a scendere, all’epoca di Giulio Cesare, a nove a uno. Con la presa del potere di quest’ultimo il valore fu portato a dodici a uno e fu ripristinato il monopolio dello stato anche per l’estrazione e il conio dell’argento a scapito delle nobili famiglie senatoriali. Tale quotazione rimase in vigore nell’impero fino alla caduta di Costantinopoli. Con la conquista della Dacia , ricca di miniere d’oro, affluirono a Roma enormi quantità del prezioso metallo. L’illuminato imperatore Marco Aurelio riversò tale ricchezza a favore dei cittadini abbassando loro le tasse, forse fu l’unico caso nella storia di utilizzo saggio della fiscalità.
Fuori dai confini dell’impero i Musulmani fissarono il rapporto di valore tra argento e oro a sei e mezzo per uno, come in India. Nel 1204 dopo il sacco di Bisanzio per la scellerata crociata guidata da veneziani e “latini”, parti di territorio dell’impero passarono sotto il controllo dei baroni crociati che fondarono degli effimeri regni che cominciarono a battere moneta sgretolando il millenario principio della prerogativa imperiale del conio e del valore di cambio tra argento e oro di 12 a 1. In Europa tali valori cominciarono a fluttuare fino alla attivazione della miniera di Potosi e delle altre miniere d’argento di Messico e Perù. La circolazione della moneta in Europa, dal Medioevo alla scoperta dell’America, era scarsissima. Il commercio e il credito privati ai minimi termini. Solo le Repubbliche marinare italiane e alcuni liberi comuni espandevano i commerci e la ricchezza. Intanto in Italia veniva inventato il Bilancere, un macchinario che racchiudeva le caratteristiche di un laminatoio e di un torchio per la coniatura delle monete. Comparve in Spagna nel 1548 e in Francia una sua evoluzione nel 1550. Insomma una macchina per il conio delle enormi quantità di metalli preziosi che arrivavano dalle Americhe. Le monete non dovevano più essere rifinite a mano e si rimediava alla cosiddetta “tosatura” metallica delle stesse con una dentellatura e scritte sui margini.
Macchinario e tecnici francesi furono chiamati in Inghilterra per la zecca nel 1651 dal governo di Cromwell, perché le monete coniate in Francia, nelle Fiandre e in Spagna erano talmente superiori in peso e fattura che l’Inghilterra rischiava la crisi dei suoi commerci con l’Oriente. Ma nel 1660 Cromwell cadde e ci fu la Restaurazione con l’ascesa al trono di Carlo II Stuart, il quale ripristinò inizialmente la lavorazione a mano ma si vide presto costretto a richiamare i tecnici francesi alla zecca nella Torre di Londra e riprendere il conio meccanico delle sterline. Intanto cambiavalute ,orafi e banchieri che operavano a Londra, in barba alle antiche leggi che proibivano la fusione e l’esportazione delle monete, cominciarono a fondere le grosse monete ed esportarne il prezioso metallo in oriente. Tale pratica fu sanzionata con una nuova legge penale ma, molto presto fu aggirata con una serie di successivi emendamenti dovuti alle pressioni e ai maneggi delle lobbies dei banchieri e cambiavalute con azioni corruttive nei confronti dei membri del parlamento inglese e dei circoli più vicini alla corte. Intanto si consolidava questo nuovo ceto di avventurieri della finanza che, con tangenti e corruzione, condizionava la produzione legislativa dell’epoca e costituiva la base dei primi azionisti della famosa o famigerata Compagnia delle Indie Orientali. Ma occorre in questo processo verificare come Carlo II abbandonò il privilegio reale del monopolio dell’emissione della moneta.
Bisogna partire dalla influenza che ebbe Barbara Villiers sul re Carlo II . Questa nobile signora tanto bella e affascinante quanto avida e spregiudicata riuscì ad assoggettare, con le sue arti e le sue grazie il re, tanto che questi ne restò soggiogato. Dopo solo tre mesi dall’inizio della sua relazione con il re , le venne garantita, con lettere patenti, una rendita dalla zecca su ogni libra di moneta d’argento che fosse stata coniata con la punzonatura del re, dei suoi eredi e successori. Pochi anni dopo ebbe un’altra rendita sulle Poste, ed altri vitalizi benefici et cetera. Intanto coltivava amicizie e scandalosi rapporti con i più influenti Lord e i più ricchi banchieri, con i quali, alle carte e ai dadi giocava in una sera intere fortune. I suoi contemporanei la descrivevano come “signora del piacere e maledizione della nostra nazione” . Insomma la dimostrazione storica del detto popolare su quanto possa tirare più un pelo di donna che un carro di buoi.
La legislazione monetaria venne assoggettata , con la complicità dell’amante del re, agli interessi della Compagnia delle Indie Orientali. Lo scopo della Compagnia, dei proprietari terrieri suoi alleati, degli orafi londinesi, e dei suoi mandatari in parlamento era principalmente quello di rimuovere le restrizioni sull’ esportazione delle monete e dei lingotti e appropriarsi della prerogativa della coniazione. Con la Legge sul Bestiame e la Coniazione, approvata in un parlamento ormai controllato dalla Compagnie delle Indie Orientali, si decideva, tra l’altro, la liberalizzazione dell’esportazione delle monete e dei lingotti e il monopolio di fatto dei trasporti navali della Compagnia. Le monete d’argento venivano fuse e mandate in India dove, per il diverso e molto più vantaggioso rapporto di valore/ cambio ritornavano in oro in Inghilterra producendo enormi profitti .La scarsità di argento da scambiare in India era alla base delle spedizioni corsare dal porto di Londra, per appropriarsi dell’argento e dell’oro dei galeoni della Spagna che a sua volta lo aveva rapinato ai nativi americani resi schiavi. La seconda mossa della Compagnia era tesa ad ottenere il controllo del Privilegio Reale della coniazione per avere una zecca privata. Con tangenti e corruzione dei membri del parlamento la Compagnia fece approvare una legge che cancellò il signoraggio della Corona e quindi il suo controllo sull’emissione della moneta stessa. Chiunque poteva portare al conio il proprio argento , purché il deposito fosse del valore di almeno di 10.000 sterline, cioè solo i miliardari dell’epoca.
Carlo II era stato circuito e imbrogliato dai lobbisti della Compagnia, i quali lo convinsero prospettandogli un falso scenario di abbondanza di moneta circolante, ma soprattutto la Compagnia si accollò l’onere delle rendite all’amante reale Barbara Villiers e propose anche l’accollo di un dazio ,a favore della Corona, sull’importazione degli alcolici in Inghilterra. Tale infame legge fu congelata nel 1816 e abrogata nel 1870. Carlo II nel 1668 vendette l’isola e la città di Bombay ,portate in dote alla Corona dalla moglie, figlia del re del Portogallo, alla Compagnia delle Indie Orientali. A questo punto la Compagnia disponeva di un territorio con il diritto di difenderlo ,quindi di un esercito, della potestà di battere moneta, pertanto poteva configurarsi di fatto come uno stato .Acquistò dal Rajà di Madras una concessione per coniare alla loro zecca le monete “Tre-Swamy” o le pagode d’oro di Lakshimi. In ultima analisi la Compagnia divenne uno stato (nello stato) che operava per il benessere dei suoi “cittadini” che erano i suoi poco più di 500 azionisti ricchi all’inverosimile. Ovviamente questa truffa finanziaria non fu solo a danno del Re che, in parte si rifece incamerando oltre un milione di sterline dei ricchi depositanti, custodite per loro nei forzieri dello Scacchiere, ma a danno delle classi sociali più povere di tutta l’Inghilterra delle nazioni che oggi fanno parte del Regno Unito e dell’Irlanda.
Alexander Del Mar ci descrive ed analizza nel suo studio altre grandi truffe finanziarie come quella del 1873 su circa sette miliardi di dollari del debito degli USA accumulatosi per la guerra civile. Anche qui le lobbies dei finanzieri fecero approvare una “Legge per il rafforzamento del credito” in forza della quale ai detentori dei titoli del debito americano (banchieri europei e americani) venne riconosciuto un intero dollaro di metallo contro ogni mezzo dollaro anticipato al governo in moneta cartacea, a scapito dei contribuenti. Ovviamente si parla di oro e/o argento. Così a cascata ,per effetto della legge, tutte le aziende e le persone indebitate furono costrette a subire dovendo fare altrettanto. Mentre i padroni della finanza raddoppiarono il capitale ,i piccoli imprenditori e i lavoratori si ritrovarono molti in bancarotta e tutti molto più poveri.
Il metallo prezioso ,dopo tanti secoli, continuò ad essere l’ancora della moneta. A Bretton Wood nel 1944 dove Inglesi e soprattutto Americani sancivano il nuovo ordine mondiale con la conseguente disciplina monetaria che prevedeva un cambio prestabilito oro-dollaro. Il dollaro ,sostanzialmente debole rispetto alle altre valute, dagli anni sessanta del secolo scorso diede un enorme vantaggio competitivo alle aziende americane che andavano espandendosi nel mondo come entità multinazionali. Per motivi non solo di prestigio gli USA erano molto restii a svalutare il dollaro nei confronti dell’oro, finché il meno docile degli alleati , il francese De Gaulle, non chiese di convertire parte delle sue riserve di dollari in oro, al cambio ufficiale. La risposta dell’allora presidente USA Richard Nixon fu quella di sganciare il dollaro dall’oro. Per la prima volta nella storia il metallo prezioso uscì dalla scena monetaria.
Si può dire che la grande speculazione finanziaria ha anticipato il Mercantilismo e la Rivoluzione Industriale che , almeno nella sua maturità però, ha generato capitali industriali che hanno creato lavoro e benessere , relativa pace e progresso sociale. Nel mondo attuale della Globalizzazione sembra che i detentori del potere e del capitale finanziario stiano raggiungendo il punto di massima potenza. Non vengono mai individuati dai loro media come speculatori della finanza ma come i” Mercati” ,dando loro quasi un’aura di potere sacrale. La tecnologia ha fornito loro gli strumenti per operare contestualmente in tutto il globo e con la potenza finanziaria di cui dispongono possono mettere in ginocchio l’economia ,lo sviluppo e il benessere di qualsiasi nazione. Si è creato un ceto plutocratico mondialista non più ancorato nel territorio come la borghesia che aveva propri valori ed era una classe, ma una élite che ha un unico imperativo categorico: accumulare denaro. Probabilmente questa è solo una fase storica dell’eterna lotta tra oro e lavoro cioè tra chi la ricchezza la accumula con la speculazione (e le truffe) solo per sé e chi la crea col lavoro producendo sviluppo e benessere per tutti. Ma, si sa, Vico ce lo ha insegnato, la Storia ha corsi ma anche ricorsi…..
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