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Teatro
24 Febbraio 2024 - 15:14
Lucia Sapienza nata a Catania ma torinese di adozione
Un’italiana a New York e per di più alla corte del prestigioso palcoscenico di Broadway, accessibile solo ai migliori talenti internazionali. È quello che sta accadendo alla giovane Lucia Sapienza, catanese ma torinese di adozione poiché si è formata alla Gypsy Musical Academy. Un’artista dal talento eclettico ma con un primo grande amore: il teatro. Interprete e autrice Lucia sta per provare l’emozione più grande dato che il suo adattamento delle “Supplici” di Eschilo parteciperà al New York Theater Festival che andrà in scena nel maggio prossimo. Prima di arrivare negli States, Lucia aveva alle spalle uno studio ventennale di pianoforte, appassionata da sempre al mondo del teatro e del teatro musicale in particolare, e con la Gypsy, dove si è diplomata nel 2020, aveva partecipato ad Italia’s Got Talent 2019 arrivando in finale insieme ai suoi colleghi grazie al Golden Buzz di Claudio Bisio.
Da Torino a New York quanto l’ha aiutata la Gypsy?
«Il percorso fatto in Gypsy è stato fondamentale per il successo dell’audizione di ammissione in primis ma anche nel percorso in generale che poi ho fatto negli States. Quando sono arrivata in America all’accademia io ero tra le più anziane a frequentare quei corsi, la maggior parte delle mie colleghe era appena uscita da scuola, e in particolare molte si erano appena diplomate nelle scuole americane da cui si esce un anno prima rispetto alle scuole italiane, questo mi ha un po’ disorientato all’inizio ma poi ho capito quanto questa cosa fosse a mio favore. La disciplina e la conoscenza del mio corpo a livello artistico che ho imparato in Gypsy hanno fatto sì che io fossi la versione più efficiente di me stessa, che imparassi molto più velocemente e conoscessi i miei ritmi: in ciò la Gypsy è stata fondamentale».
Rimarrà nella Grande Mela?
«Qualcosa mi dice che sono esattamente dove dovrei essere e che ci devo rimanere ancora per un po’. Ho diversi progetti e amori che mi tengono legata a questa città».
Cosa significa essere un’astista italiana a New York?
«Significano lacrime e sudore, ma anche soddisfazioni. L’arte qui è un lavoro a tutti gli effetti e da tutti i punti di vista. Sono rimasta colpita anche da quanto l’italiano sia in molti casi ammirato, a volte a sproposito, ma gli americani sono consapevoli delle loro debolezze, in molti casi per loro l’italiano incarna un individuo di cultura molto spiccata. Per altri siamo semplicemente pizza e mandolino, non voglio generalizzare».
Come ha fatto a conquistare i newyorkesi con uno spettacolo “classico”?
«Devo però dire che io sono un’amante inguaribile della classicità, l’ho studiata molto e a lungo, il teatro nello specifico, e sentivo, una volta concluso il mio percorso in accademia di aver bisogno di creare qualcosa di mio. Io non sono però una scrittrice, ma siccome avevo qualcosa da dire ho usato lo strumento del teatro antico come mediatore, in un certo senso. Ho adattato, unendo le mie parole a quelle di Eschilo, e il mio messaggio a quello di Eschilo, le Supplici».
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