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Teatro Colosseo
16 Aprile 2024 - 17:00
Sergio Caputo
Un tuffo nel passato per Sergio Caputo. Il cantautore romano, che da qualche anno vive in Francia, mercoledì 17 aprile, dalle 21 (biglietti a 28, 32, 36 e 40 euro), sarà sul palco del Teatro Colosseo di via Madama Cristina 71, per la tappa torinese di “Un sabato italiano show” il tour che celebra l’uscita del disco d’esordio, pubblicato nella primavera del 1983. Si apriva un mondo nuovo per la canzone d’autore, lontano dall’impegno politico e sociale in voga in quegli anni, ma con la voglia di raccontare storie notturne, adatte al ritmo e nei testi, al jazz.
Perché riproporre questo disco?
«Grazie a “Un sabato italiano”, ho capito che dovevo dedicarmi completamente alla musica. Ho scelto un’altra strada rispetto alla canzone di impegno politico perché credo che, quando una persona arriva a casa, abbia voglia di rilassarsi. E poi in Italia non c’erano musicisti ispirati ad Ella Fitzgerald o Cole Porter, i miei miti. Dal vivo mi accompagneranno sei elementi, tutti molto affiatati. Mi sento come il cantante di un gruppo. Sono molto legato a Torino dove ho realizzato l’album live “La notte è un pazzo con le meches”».
Ha collaborato con molti artisti. Chi le è rimasto nel cuore?
«Dizzie Gillespie, tra i padri del bebop che ho incontrato nel 1985. Nonostante fosse un mito venne di persona a registrate senza limitarsi ad un lavoro a distanza. Una attenzione che non dimenticherò mai».
Tornerebbe a Sanremo?
«Niente in contrario, ci sono stato tre volte. Fa riflettere il fatto che, per scrivere una canzone, ci si debbano mettere in nove. Quando ci son stato io era davvero una vetrina della canzone italiana con artisti come Mia Martini, Fausto Leali, e Umberto Tozzi. I talent curano solo le voci, anche se non dovrei dire niente. Molti concorrenti inseriscono i miei pezzi nel loro repertorio e non può che farmi piacere».
Preferisce esibirsi dal vivo. Perché?
«Non sono il solo, anche Bob Dylan è sempre in tour e poi, con le varie piattaforme digitali il diritto d’autore è morto».
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