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"Sarabanda" di Bergman: il testamento cinematografico del maestro diventa un'opera teatrale

Un viaggio tra solitudine e risentimento nello spettacolo per la regia di Roberto Andò

"Sarabanda" di Bergman: il testamento cinematografico del maestro diventa un'opera teatrale

Renato Carpentieri in scena con Caterina Tieghi

«Quello che stiamo per fare può apparire semplice: un prologo, dieci dialoghi, un epilogo. È bene che sappiate che sarà estremamente difficile. È la mia ultima regia: esigerò il massimo da me e da voi. Non avrò pietà». Così Ingmar Bergman alla troupe e agli interpreti che si apprestavano a girare le scene di “Sarabanda”. L’ultima regia del maestro svedese, il suo film-testamento del 2003, è ora diventata una pièce teatrale con la direzione di Roberto Andò e nella produzione del Teatro di Napoli - Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova e Teatro Biondo Palermo. L’opera “&più radicale di Bergman”, la definisce Andò, debutta sul palco del Carignano martedì 1 aprile (in replica fino a domenica 6) con Renato Carpentieri, Alvia Reale, Elia Schilton, Caterina Tieghi.

Le scene e le luci sono di Gianni Carluccio, i costumi di Daniela Cernigliaro, le musiche di Pasquale Scialò. È la “Sarabanda” dalla quinta Suite di Bach, l’autore preferito da Bergman, una danza per coppie lenta, solenne e lasciva. Qui le coppie sono quella di Johan e Marianne, gli stessi di “Scene da un matrimonio”, sempre di Bergman, che si ritrovano dopo 30 anni, quando Marianne fa visita all’ex marito nella casa fuori città dove incontra anche il figlio di lui, Henrick, il quale ha un legame quasi incestuoso con la propria figlia Karin, promettente violoncellista. Come in una sarabanda le coppie si incontrano e si avvicendano nelle dieci scene e si vomitano addosso odi repressi, risentimenti, in un’assillante resa dei conti.

«Sarabanda ci si parla per ferirsi, o per riferire di ferite passate, senza che sia mai possibile una minima intesa - spiega il regista -. Come è difficile trovarvi una traccia di speranza. Anche se forse, per momenti fuggevoli, l’autore sembra affidarla a Karin, la giovane aspirante solista che verso la fine della pièce esprime l’intenzione di liberarsi del padre per entrare nell’orchestra diretta da Claudio Abbado, sperimentando la gioia di suonare con gli altri. Per il resto, regna l’amarezza, il risentimento, l’odio». Tutto è immerso nel pessimismo più cupo. I temi delle relazioni umane, la solitudine, l’indifferenza, i temi delle relazioni familiari affrontati anche nelle altre pellicole di Bergman qui non sembrano avere sbocchi e per questo culminano in quell’urlo d’angoscia finale che Andò sceglie come epilogo dello spettacolo.

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