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Il collezionista folle

L’anello leonardesco al dito del Re Carlo

La sfida narrata oggi è: imprigionare in ambra preziosa le schegge del cranio del da Vinci

Re Carlo

Re Carlo e il suo anello

PROLOGO
Il mattino, per il Collezionista Folle, iniziava come sempre: all’insegna della tranquilla insensatezza. Nella modesta stanza affittata sul corso alberato, un lampadario si trasformava – come di consueto – in qualcosa di straordinario. Oggi, non più un semplice globo luminoso, bensì un magico anello sospeso, con dentro incastonato un globo bianco capovolto. Quasi una sfera di cristallo pronta a predire un futuro che lui, con l’unico occhio rimastogli sano, cercava di decifrare fra lacrime e memorie di vendette subite per aver negato la vendita di un dipinto a basso costo. Questa volta il Collezionista, rigorosamente in terza persona, non era alla ricerca di tele scomparse o cimeli perduti: aveva ambizioni ben più audaci. Una visione da imperatore o da sovrano britannico, dipende dai punti di vista: imprigionare in ambra preziosa le schegge del cranio di Leonardo da Vinci. Dodici anelli leonardeschi destinati alla famiglia reale, in grado di elettrizzare chiunque ne fosse il fortunato possessore. Follia? Certo, ma bonaria e visionaria quanto basta per renderla irresistibile. Dopotutto, chi se non il nostro eroe, condannato dalla medicina ma benedetto dall'immaginazione, potrebbe concepire un simile, delirante progetto?

L’ANELLO DI RE CARLO

Temp’era dal principio del mattino e il sol montava in su con quelle stelle ch’eran con lui…” quando il collezionista folle si destò con un’idea.
Il lampadario che pendeva dal soffitto della stanza in affitto, da globo che era si trasformava nella sua fervida immaginazione in un anello con un globo bianco capovolto, quasi fosse un piccolo cristallo di rocca trasparente nel quale leggervi il futuro. Questo anello pendente dal soffitto dondolava leggermente sospinto dai colpi di vento che entravano dalla finestra aperta sul corso alberato.
Una lacrima gli offuscava la vista dell’unico occhio che funzionava ancora bene, mentre l’altro occhio gli era stato danneggiato da un invidioso criminale al quale non voleva vendere un dipinto a poco prezzo: gli bastò ricevere un’onda telefonica potenziata dall’emittente mentre egli era davanti allo specchio, intento a radersi ed a rispondere negativamente alla proposta telefonica, per vedere riflesso nello specchio gonfiarsi la gota, deformarsi il globo oculare ed arrossarsi la pelle divenuta di colpo paonazza fino a far scoppiare un vaso capillare dal quale un violento spruzzo inondò lo specchio. Neppure Dario Argento avrebbe immaginato tale spaventoso orrore.

Il collezionista folle, ma non troppo, si passò un fazzoletto sul viso e continuò a fissare l’anello al soffitto. Uno strano riflesso appariva e scompariva nel globo ed egli cercava di immaginare di quale pietra avrebbe potuto trattarsi: un’Ambra gialla contenente un insetto, come aveva visto sulle bancarelle per turisti a San Pietroburgo quando, vent’anni prima, nel pieno della sua salute e vigore, aveva affrontato con un’amica del cuore l’avventura della ricerca del calice del Graal al Museo Ermitage? Più la guardava, più la sua fantasia riconosceva che la pietra fosse appunto di quella rara resina mineralogicamente chiamata succinte, a volte trasparente, con la proprietà di essere elettrizzante.

I secondi erano scanditi da una vecchia sveglia “vintage” mentre l’immaginazione passava dal trotto al galoppo. Non sarebbero stati gli insetti dell’epoca pre glaciale ad essere inclusi nell’ambra ma qualcosa che solo lui avrebbe osato immaginare prima di lasciare questo mondo, poiché condannato da un tumore silente che invano i medici cercavano di diagnosticare. L’idea balzò alla sua mente con la stessa fulgida risoluzione di un problema covato da tempo nell’inconscio. “Eureka!” Esclamò tra sé, senza neppure la soddisfazione di ricevere una manata sulle spalle, “ci sono! “Troveremo il modo di annegare nella resina d’ambra nientemeno che le schegge delle ossa del cranio perduto di Leonardo da Vinci!”. L’idea lì per lì non gli sembrò male, già vedeva l’anello Leonardesco al dito di Re Carlo di Inghilterra, simbolo del portatore del genio vinciano. Un valore ofelimico che avrebbe potuto assurgere all’anello unico più importante del mondo, a meno di non farne due, uno anche per la Regina d’Inghilterra.
E considerando che di schegge di ossa ve ne sono in abbondanza nella teca che gli avevano regalato come premio per aver scoperto il calice del Graal, l’idea si fece ardita: di realizzare una serie di 12 anelli leonardeschi ad uso di tutta la famiglia reale, nipoti compresi. Davanti a una tazza di tè profumato, giusto per correggere il cucchiaio colmo di succo di Aloe, ricavato dalla pianta grassa coltivata in vaso sul balcone, terapia anti tumorale integrativa di quella impostagli dalla figlia (miele, curcuma e zenzero), il Collezionista cercava di far chiarezza sulla sua prospettiva di vita: da tre mesi ad una attesa di trent’anni, ampiamente ottimista avendone quasi ottanta. Riuscirà mai a realizzare il progetto degli anelli Leonardeschi? “…nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar”, verso quanto mai adatto allo spirito presocratico di Leonardo, ispiratore dei suoi anelli!.

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