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Michele D'Ottavio: i ritratti di vita e lavoro nella Galleria Umberto I di Torino

Il fotografo torinese ritrae la comunità che trasforma uno spazio storico in un microcosmo vibrante e unico ogni giorno

Michele D'Ottavio: i ritratti di vita e lavoro nella Galleria Umberto I di Torino

Alcuni degli scatti in mostra

Ha mosso i primi passi come fotoreporter a Torino, negli anni Ottanta, fotografando le manifestazioni studentesche e i concerti dei Rolling Stones, dei Dire Straits, di Bob Dylan. La sua prima esperienza a livello internazionale risale, invece, al 1989 quando con la sua Yashica FX3 ha raccontato la caduta del muro di Berlino. Di lì sono iniziati i reportage in giro per il mondo, zone di guerra comprese. Ma in tutto questo viaggiare Michele D'Ottavio non ha mai perso d'occhio la sua Torino, di cui ha documentato le trasformazioni dei quartieri più popolari, da Porta Palazzo a San Salvario. Ed è di Torino che parla anche la sua ultima mostra, in particolare della Galleria Umberto I, una delle tre storiche gallerie commerciali torinesi, insieme con la Galleria Subalpina e la Galleria San Federico. «Forse la meno conosciuta - dice - ma per me la più bella, la più vera». Ed è qui in questo “passage” parigino nel cuore della città sabauda, a due passi dal suo studio di via della Basilica 1 che oggi Michele inaugura la mostra curata da Ivano Bedendi e dal titolo “Senza di me la Galleria non sarebbe la stessa”.

La rassegna è parte del progetto promosso da Giancarlo Cristiani e Gio’ GattoL’occhio e la macchina. I magnifici 13”, che dal maggio scorso, e per tutto il mese di luglio, ospita negli spazi della Galleria, per una settimana ciascuna, le mostre di 13 fotografi. E questa è la settimana dedicata a Michele D’Ottavio. Che per l’occasione ha ideato una rassegna site specific. «Ho pensato di realizzare i ritratti delle persone, una trentina in tutto, che abitano la Galleria. Perché alla base della bellezza di un luogo c’è sempre il lavoro di tanti che contribuiscono a renderlo unico». Sono i commercianti o i professionisti la cui attività si svolge all’interno di questa storica architettura, ma anche persone che la frequentano, magari facendo colazione al mattino in uno dei locali della ristorazione. A fare da fil rouge alle immagini i grembiuli. «Volevo trasformare i ritratti delle singole persone in un ritratto collettivo - spiega il fotografo torinese -, per questo ha fatto indossare ad ognuno di loro un grembiule, messo a disposizione dalla Casa della Tuta, così da creare un elemento comune e da aggiungere un tocco di colore». L’hanno indossato tutti, da Marco, della Casa della Tuta, al gallerista Gio’ Gatto, da Giovanni del Ramodoro agli architetti Gianni e Laura, a Richi Ferrero, e poi Cecio, Robertone e Monica, Dino, Gianni, Edo, Ciro, Valeria e tanti altri. Tutta gente che, senza di loro, “la Galleria non sarebbe la stessa”.

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