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A tu per tu con le star

Jacquelin Bisset a Torino, "Le donne? Provocano troppo"

L’attrice al Torino Film Festival rievoca “La donna della domenica” fra amarcord e... Agnelli

Bisset a Torino, tra memoria e fascino: “Agnelli affascinante, Mastroianni mi intimidiva”

«Che sensazione si prova a ricevere la Stella della Mole? Beh, vivo emozioni contrastanti: non considero la mia carriera finita e ricevere un premio dà da pensare. Mi piacerebbe fosse più per le pellicole indipendenti e poco note cui sono particolarmente legata che per i film non eccellenti ma più famosi in cui ho recitato».

Così l’attrice Jacqueline Bisset (81 anni), protagonista al 43esimo Tff di tanti bei momenti culminati ieri pomeriggio al cinema Romano - dove la folla di fan si è riversata molte ore prima formando lunghe code - con la proiezione, nel cinquantennale della sua realizzazione, di “La donna della domenica”: «Del lavoro sul set ricordo le difficoltà e l’imbarazzo nel non capire cosa diceva Mastroianni. Poverino! Ogni volta che smetteva di parlare, io iniziavo la mia battuta e lui sbottava con un “Non avevo finito!”. Fu necessario mettersi d’accordo su quanto tempo di silenzio dovevo attendere prima di dire la mia. E poi rammento il sale… Se volete farmi stare bene, non datemi sale: lo dissi subito alla produzione. Eppure, il primo giorno, per colpa di un piatto di pasta, gonfiai tanto da non riconoscermi. Per restare giovani, niente sale”.

E per vivere? «Mio padre mi insegnò l’importanza dell’ascolto: è una grande lezione, specie per le donne che tendono a chiacchierare troppo. Meglio il silenzio. Cerco sempre persone che prestino attenzione, sul set come nella vita, e sono stata fortunata: ho sempre lavorato con ottimi colleghi».

Come quelli di “Assassinio sull’Orient Express”: «Che situazione difficile. Era un film molto statico, con un sacco di star spesso costrette a star sedute e proferire poche battute. Fu una scuola di pazienza: le riprese erano noiose, ma i pranzi erano occasioni stupende per conoscersi ed imparare gli uni dagli altri. Per questo, quando la produzione propose di ridurre il tempo della pausa, Vanessa Redgrave ed io fummo contrarie e ci battemmo, ma senza successo».

Appreso che Redgrave sarà al Tff, Bisset chiosa: «Non la vedo dall’epoca che fu. È un’attrice fantastica, al cinema come a teatro, una forza della natura quando si parla di battaglie in cui crede».

E su Paul Newman, protagonista della retrospettiva e del manifesto di questo 43° Tff, ricorda: «Un uomo delizioso, dal grande cuore, timido, pessimo nel raccontare le barzellette perché rideva prima di finirle. Molto amichevole, di buon umore, mal sopportava i fan che chiedevano autografi e preparava ottimi hamburger».

È vero che le proposero il ruolo da protagonista in “9 settimane e mezzo”?: «. Ci ho riflettuto per un anno: la storia mi piaceva, ma non mi sentivo pronta a raccontarla con tanta nudità. Rinunciai anche perché temevo di lavorare con Mickey Rourke: pur essendo un ottimo attore, mi spaventava perché era più giovane di me e capace di creare il caos intorno a sé».

Una Bisset a tutto campo, che lascia sconcerto anche negli altri incontri al TFF, come quando dice «odio profondamente che le donne possano subire violenze, abusi, stupri. Però oggi c’è molta ambiguità da parte loro. Le donne provocano troppo. Non bisogna essere sempre provocanti a tutti i costi: così non funziona».

“Non ho frequentato la famiglia Bruni Tedeschi, ma sono stata a cena da Agnelli, un uomo molto affascinante, affabile e attraente. Ricordo il suo giardino con tanti fiori e una casa elegante”. Bisset non aggiunge coordinate, non ne ha bisogno: nelle sue parole c’è il profilo di un’epoca, l’alta società torinese osservata da vicino, con lo stupore di chi arriva e la lucidità di chi, già allora, capiva di trovarsi davanti a un rituale di stile e potere. È un dettaglio che pesa come una scena madre: un giardino, una casa, una conversazione. Quanta Torino sta in un’immagine così semplice?

Intervista a cura di Danila Elisa Morelli

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