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Quando Mozart,
bambino prodigio
venne a Torino

Quando Mozart,  bambino prodigio venne a Torino

Wolfgang Amadeus

Mozart, si sa, è stato un po’ ovunque. L’itinerario artistico del giovane Wolfgang Amadeus, curato dal padre Leopold, toccò tutte le corti europee, e specialmente quelle italiane. Sì, perché le corti della penisola erano la patria della musica colta, vantando compositori che avevano fatto la gloria dell’Italia e che ancora oggi sono nomi immortali, da Vivaldi a Scarlatti a Cimarosa a Pergolesi. Insomma: il nostro paese, diviso politicamente, era all’avanguardia dal punto di vista artistico (almeno, sotto il profilo musicale). Tanto che il giovane enfant prodige Wolfgang Amadeus si dovette recare in Italia per capire come si facesse musica nella capitale della musica stessa. I viaggi nel Belpaese toccarono tutte le città della penisola e anche Torino: in città sostò per un breve periodo nel gennaio 1771, poco tempo dopo la visita del celebre musicologo inglese Charles Burney. È un peccato che i due non si siano incontrati: chissà cosa avrebbe potuto scrivere Burney del più grande genio musicale del suo tempo! Perché Torino? Perché la capitale dei Savoia era la sede di una delle più prestigiose orchestre europee e perché in città vivevano alcuni dei più noti violinisti del continente. Primo fra tutti Gaetano Pugnani, poi il suo giovane allievo Giovanni Battista Viotti, di un anno più vecchio di Mozart.

Bisogna a questo punto tracciare un breve profilo biografico del nostro genio. Mozart nacque il 27 gennaio 1756 alle ore 20 al numero 9 di Getreidegasse a Salisburgo, capitale del principato arcivescovile di Salisburgo. Oggi la casa di Mozart è una delle principali attrazioni della città, anche se al suo interno non c’è quasi nulla di originale. D’altronde, i Mozart non erano ricchi: erano trattati alla stregua dei domestici, perché essere musicisti era considerata una professione assimilabile a quella della servitù. In entrambi i casi si trattava di un lavoro ambito, perché si viveva nelle ricche case signorili e si condividevano i privilegi dei nobili; eppure, tanto i servi quanto i musicisti avevano il compito di lavorare per il benessere della nobiltà: nel caso specifico, del principe-vescovo di Salisburgo Hyeronimus von Colloredo, il quale passò alla storia esclusivamente per il suo rapporto tormentato con Mozart. Alla fine, il giovane genio lasciò la sua città natale e si mise in proprio; divenne una “partita Iva” della musica, il primo - forse - a compiere questo passaggio epocale, che cambiò le sorti dell’intero settore musicale. Dopo Mozart, i musicisti riuscirono a campare del loro lavoro in modo indipendente, sganciandosi dalla sudditanza alle case nobili. Ma Mozart poteva permetterselo, perché era effettivamente un genio, un uomo che sapeva scrivere musica di getto, senza cancellature, e che aveva una tale facilità nella composizione da bagnare il naso a chiunque altro. Fosse vissuto di più, avrebbe riscritto completamente la storia dell’arte occidentale. Invece, la sua esperienza terrena si concluse in una fredda giornata del dicembre 1791 ed in una gelida fossa comune di Vienna, anonima e ignota: l’esatto luogo di sepoltura non è stato mai identificato e tutt’oggi vi sono a Vienna due monumenti funerari del compositore in due diversi cimiteri (uno presso il cimitero di St. Marx e un altro presso il Cimitero centrale).
Autore di opere immortali come il Don Giovanni, le Nozze di Figaro, Così Fan Tutte e il Flauto Magico, Mozart è diventato una leggenda e la bibliografia su di lui è sterminata e vastissima. Fu un idolo del popolo tedesco, perché emancipò non soltanto i musicisti dalla sudditanza alle case aristocratiche, ma sdoganò anche la lingua tedesca, usata in molte sue composizioni, prima fra tutte il Flauto Magico. Verosimilmente, se non fosse morto precocemente avrebbe continuato su questa china, mandando definitivamente in pensione l’italiano come lingua della lirica. Così non fu, e la lingua di Dante continuò ad essere usata per tutto l’Ottocento.

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