Attimi di sospensione in un’aula dove la giustizia scandisce il tempo con puntualità svizzera. Alle 9 di questa mattina, mercoledì 22 ottobre, la Corte d’Assise d’Appello di Torino avrebbe dovuto riaprire il dossier su una vicenda che, fin dal suo primo giorno, ha polarizzato il Paese: il caso del gioielliere di Grinzane Cavour, Mario Roggero. Ma l’udienza è slittata alla tarda mattinata per un improvviso malore dell’imputato, ricoverato d’urgenza nella notte all’ospedale di Verduno per un sospetto infarto. Lo ha comunicato in aula il suo difensore, l’avvocato Stefano Marcolini. Un rinvio non solo di orario, ma simbolicamente anche di giudizio collettivo, in un processo che interroga, ancora una volta, la linea invisibile che separa la legittima difesa dalla responsabilità penale.
IL RINVIO IN CORTE D’ASSISE D’APPELLO
La Corte d’Assise d’Appello di Torino è chiamata a riconsiderare il caso Roggero alla luce della sentenza di primo grado, che il 4 dicembre 2023, ad Asti, ha condannato il gioielliere – oggi 71enne – a 17 anni di reclusione per omicidio volontario plurimo e tentato omicidio. Una pena superiore di tre anni rispetto alla richiesta formulata in aula dal pubblico ministero Davide Greco, che ne aveva chiesti 14. Il procedimento odierno è stato rinviato alla tarda mattinata dopo che il legale ha informato i giudici del ricovero del suo assistito nella notte a Verduno. La circostanza ha imposto un rallentamento forzato in una giornata che, per i familiari delle vittime e per l’imputato, rappresenta un nuovo passaggio cruciale.
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I FATTI DEL 28 APRILE 2021: UNA FUGA, QUATTRO COLPI, DUE MORTI Per ricostruire la portata del processo occorre tornare a
Gallo Grinzane, il 28 aprile 2021. Secondo la ricostruzione investigativa, tre rapinatori fecero irruzione nella gioielleria di
Mario Roggero armati di
pistole giocattolo. All’interno, in quei concitati momenti, vennero presi in ostaggio la moglie e la figlia del titolare. La violenza dell’irruzione e la minaccia percepita in un luogo di lavoro e famiglia, da sola, racconta il livello di allarme. Ma la sequenza non si esaurì lì: i tre, dopo la rapina, tentarono la fuga. Fu allora che Roggero li inseguì e esplose quattro colpi di pistola, tre dei quali andarono a segno davanti al negozio. Morirono
Giuseppe Mazzarino, 68 anni, di Torino, e
Andrea Spinelli, 44 anni, di Bra. Il terzo fuggitivo,
Alessandro Modica, 34 anni, di Alba, sopravvisse. Questi numeri – quattro colpi, tre impatti, due vite spezzate, un superstite – non sono semplici cifre. Sono coordinate di una dinamica che la giustizia è chiamata a qualificare giuridicamente:
legittima difesa?
Eccesso colposo? O, come ha ritenuto la Corte d’Assise di Asti,
omicidio volontario plurimo? Il processo di appello dovrà misurarsi con la trama dei fatti e con la loro cornice emotiva e temporale: quanto durò l’azione? Dove si trovavano vittime e imputato al momento degli spari? Il pericolo era ancora attuale? Domande che, come pietre in un fiume in piena, cercano di creare un guado possibile verso la verità processuale.
LE QUESTIONI GIURIDICHE: PROPORZIONE, ATTUALITÀ DEL PERICOLO, INTENTO Il
diritto penale offre strumenti chiari, ma raramente semplici da applicare. La
legittima difesa presuppone un’aggressione ingiusta e attuale, e una reazione necessaria e proporzionata. La prova si gioca spesso su millimetri e secondi: un passo oltre la soglia del negozio, una schiena girata, un attimo in cui l’offesa cessa, può cambiare la qualificazione del fatto. In questo caso, la Corte di primo grado ha ritenuto che gli spari esplosi nell’inseguimento davanti al negozio non fossero giuridicamente una risposta necessaria a un pericolo attuale. Da qui l’imputazione di
omicidio volontario plurimo e
tentato omicidio. Un nodo delicato riguarda anche la percezione del rischio: i rapinatori impugnavano
pistole giocattolo, ma l’imputato lo sapeva? Il dato oggettivo – armi non reali – si confronta con lo stato soggettivo di chi, pochi istanti prima, ha visto la propria famiglia ostaggio di uomini armati. La legge valuta i fatti, ma non può ignorare la cornice psicologica. Eppure, all’altra estremità della bilancia, ci sono due morti e una comunità che chiede certezza del diritto, limiti chiari all’uso privato della forza, soprattutto quando l’offesa iniziale è cessata.
UN PROCESSO-SIMBOLO OLTRE I CONFINI DI GRINZANE CAVOUR La vicenda Roggero è diventata ben più di un fascicolo giudiziario: ha assunto il ruolo di specchio di ansie collettive e di slogan contrapposti. Da un lato, c’è chi invoca la tutela piena di chi viene assalito nella propria attività, evocando l’idea di un “riflesso” di difesa legittimo. Dall’altro, chi mette in guardia contro la normalizzazione della giustizia “fai-da-te”, ricordando che lo Stato di diritto si fonda sul monopolio legittimo della forza e sulla proporzione. Che cosa accade se l’eccezione diventa regola? Se la paura, fondatissima nel momento della rapina, travalica nel dopo e si traduce in inseguimento armato? È su questo crinale che i giudici d’appello saranno chiamati a pronunciarsi, parola per parola, prova per prova.
LE PARTI E L’ATTESA In aula, l’annuncio dell’
avvocato Stefano Marcolini sul ricovero notturno di
Mario Roggero ha sospeso la liturgia processuale. L’imputato era atteso alle 9, ma la notte a Verduno ha cambiato la scaletta. Intanto, sullo sfondo, ci sono i nomi di chi non c’è più –
Giuseppe Mazzarino e
Andrea Spinelli – e quello di
Alessandro Modica, il sopravvissuto. Nomi che, al di là del dibattito pubblico, meritano un lessico di rispetto. La cronaca giudiziaria ha il dovere di non farsi trascinare dal tifo, di non trasformare dolore e responsabilità in slogan. Perché dietro i titoli, restano le famiglie, i vuoti, e un territorio – da
Grinzane Cavour a Torino – che attende risposte misurate.
COSA PUÒ CAMBIARE IN APPELLO Il secondo grado non è una semplice ripetizione. È una verifica integrale, soprattutto quando, come in questo caso, la pena inflitta ha superato la richiesta del pubblico ministero
Davide Greco. In appello possono pesare elementi tecnici – traiettorie dei colpi, distanze, tempi, posizioni – e profili giuridici: la qualificazione del dolo, la configurabilità del
tentato omicidio, la linea di confine con l’
eccesso colposo di
legittima difesa. Anche la narrativa processuale può mutare: un dettaglio che in primo grado era periferico può, alla luce incrociata di testimonianze e perizie, assumere rilievo centrale. È il compito non semplice dei giudici della
Corte d’Assise d’Appello di Torino: rimettere in ordine i tasselli, senza cedere alla tentazione della morale facile. Quattro colpi, tre andati a segno; due morti, un superstite; una rapina con ostaggi e armi rivelatesi giocattolo: ciò che la società si aspetta non è un verdetto simbolico, ma un giudizio giuridicamente persuasivo.
UN TEMPO SOSPESO Il rinvio alla tarda mattinata, causato dal sospetto
infarto che ha colpito Roggero, restituisce l’immagine di un processo che si muove anche con il ritmo delle
fragilità umane. Ogni udienza è un capitolo, non l’intero libro. E in questo libro ci sono la paura di un commerciante, la vita spezzata di due rapinatori, l’eco di una comunità che si interroga: fino a dove può spingersi la difesa? Quando un colpo di pistola smette di essere scudo e diventa lama? Domande scomode, necessarie. La risposta, oggi, è rimandata di qualche ora. Quella definitiva, alla motivazione di una
sentenza che, comunque vada, farà
giurisprudenza nella coscienza collettiva prima ancora che nei codici.