l'editoriale
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Letto per Voi
09 Novembre 2024 - 11:50
Conosciamo tutti le avventure di Huckleberry Finn e dello schiavo Jim - e chi non ha letto Mark Twain avrà visto il film o il (pessimo) cartone animato di qualche decennio fa -, ma le storie possono essere raccontare di nuovo, riarrangiate, riviste da una nuova prospettiva. Magari da quella dello schiavo Jim. Jim che sa leggere e scrivere ma non lo dice, che finge di parlare come ci si aspetta che parli uno schiavo negro. Sì, perché Percival Everett è scrittore che non ha paura di usare "la parola che inizia con la N" come da politicamente corretta dizione dei media americani.
D'altra parte, se racconta la storia dei tempi di Huck e Finn, che linguaggio dovrebbe usare? Quello rivisto e corretto di oggi? Come se provassero a ridoppiare "Via col vento" (ah già: l'hanno fatto sul serio) o riscrivere i classici del passato. No, Percival Everett, autore bestseller e finalista del Premio Pulitzer, è sicuramente un democratico che non ha avuto paura di parlare contro Trump durante la campagna elettorale, ma senza lesinare critiche alla sua parte. E non è sbagliato vedere che un vero artista, un intellettuale possa dire "no" ai talebani in Birkenstock della cultura woke.
Dunque in "James" (La nave di Teseo, 20 euro, traduzione di Andrea Silvestri), vediamo Jim vivere la sua vita da schiavo nella cittadina di Hannibal, lungo il Mississippi, e segretamente istruire la figlia e gli altri schiavi, ridendo dei padroni bianchi. Ma un giorno, forse per aver osato tenersi due ciocchi di legna, il suo destino cambia: la padrona vuole venderlo a un uomo di New Orleans, separandolo per sempre da sua moglie e sua figlia. Lui, allora, fugge e decide di nascondersi sull'isola di Jackson nelle vicinanze. Nel frattempo, Huck Finn ha simulato la propria morte per sottrarsi al padre violento, lasciando del sangue di un pesce vicino a casa. Una idea "geniale", perché indovinate chi finisce sospettato di questa morte...
Il fuggiasco e il ragazzo che non è morto allora si ritrovano insieme a sopravvivere alla tempesta, ai pesci gatto crudi, al morso di un serpente, e iniziano la loro avventura lungo il fiume. Ma è Jim a raccontare, non lo schiavo ma l'uomo che rivendica di essere James - "Jim" era un nomignolo tipico da dare agli schiavi -, tra scene di grandissimo umorismo, surreali dialoghi onirici con Voltaire, avventure scatenate.
Ma la bellezza di Percival Everett è che raccontando di quell'epoca lui stia parlando dell'oggi - c'è un nero che viene bruciato vivo da poliziotti... -, stia parlando a certa America di oggi. Senza sconti, neppure alla "sua" parte, verrebbe da dire, pensando a uno scenario in cui a tutti i costi bisogna essere imbrigliati in caselle che non ci rappresentano. Chi scrive vuole avere la libertà di dire quel che pensa, così come James, che si rivela scrivendo e leggendo, perché leggere è sovversivo. La libertà dell'anima, il soul, che è la musica malinconica e feroce che come il blues ci ha portati a oggi. Santo cielo, quanto bisogno abbiamo di Percival Everett.
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