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I cani tornano con Post Mortem: il ritorno inatteso che segna la fine dell'indie italiano

Dopo nove anni, Niccolò Contessa rilascia Post Mortem, un album che rompe con il passato e riscrive le regole del ritorno musicale

I cani tornano con Post Mortem: il ritorno inatteso che segna la fine dell'indie italiano

Non c’è stato il lancio. Non c’è stato l’annuncio. Non c’è stato niente. Eppure oggi Post Mortem, il nuovo album de i cani, è uscito. A nove anni da Aurora, il progetto musicale di Niccolò Contessa è tornato come se non fosse mai andato via. Ma più che un ritorno, questo suona come una dichiarazione di discontinuità: i cani non sono qui per riprendere il discorso interrotto, ma per dire che quel discorso, forse, non è mai stato davvero interrotto. È il mondo fuori che ha continuato a parlare da solo.

A dare il primo segnale non è stato un teaser, ma un dettaglio grafico: I Cani è diventato i cani. Un minuscolo cambio di lettering che ha fatto rumore come uno schiaffo. Il resto lo ha fatto una copertina condivisa da 42 Records e una frase che sintetizza l’assurdo di questi tempi: “Non se lo aspettava nessuno. Lo stavamo aspettando tutti.”

Ecco: è così che si rientra in campo nel 2025. Non con la nostalgia, ma con la consapevolezza che l’indie non è più un genere, è una maceria.

Se c’è una cosa che Post Mortem chiarisce sin dal titolo, è che questo non è un album celebrativo. È un epitaffio su una stagione culturale. Un disco che non rincorre i fasti dell’indie-pop italiano degli anni ’10, ma lo disseziona a freddo. È scritto, cantato e suonato da Contessa nel suo studio, con la produzione e il mix affidati ad Andrea Suriani. Un lavoro a due, come quelli di una volta, ma che suona esattamente come oggi.

Non si tratta di ricreare le atmosfere di Glamour o Il sorprendente album d’esordio, ma di prendere atto che quel tipo di racconto non basta più. I testi non inseguono più amori metropolitani, ansie adolescenziali e social network tossici: raccontano invece la fatica di restare lucidi in un mondo che ti spinge all’apatia. È la crisi della trincea ironica, il collasso del cinismo comodo.

C’è qualcosa di profondamente anti-nostalgico in questo album. E questo è il suo valore. In un’epoca in cui ogni reunion è un’operazione di marketing, i cani scelgono il silenzio come strategia. Parlano solo con la musica. E la musica, per fortuna, ha ancora qualcosa da dire.

Contessa non è più l’autore trentenne che raccontava l’ansia borghese con sarcasmo e synth. È un musicista adulto che ha deciso di non assecondare il proprio mito. Non si rimette in gioco per compiacere il pubblico di allora, ma per disturbare quello di oggi. E per questo Post Mortem è un album necessario: perché non ha paura di essere inopportuno, fuori tempo massimo, e quindi perfettamente in tempo.

Nel 2025, il ritorno de i cani non è una notizia musicale. È una notizia culturale. Perché segna un momento preciso: quello in cui l’indie italiano, ormai dissolto in TikTok, nostalgia, influencer e slogan, viene seppellito dal suo stesso fondatore.

In un certo senso, è come se Contessa avesse atteso il momento esatto in cui il genere fosse del tutto evaporato per rientrare in scena con un disco che non somiglia a nessun altro. Non per innovare, ma per rimettere le cose a posto.

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