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Il bacio di Giuda, ecco perché il tradimento dell'amicizia è una dannazione universale

La figura dell'apostolo Iscariota fra letteratura e tradizione

"Cattura di Cristo" del Caravaggio

Ci sono tradimenti che non si dimenticano mai, perché toccano una parte nascosta e profonda dell’animo umano, e quello del tradimento dell’amicizia è il più doloroso e imperdonabile tra tutti. Non si tratta soltanto di venir meno a una promessa o a un legame morale, ma di frantumare una fiducia costruita lentamente, nel silenzio della reciproca presenza. L’amico traditore è colui che strappa la tela delicata di una confidenza reciproca, per lasciarci sospesi nel vuoto del dubbio e dell’abbandono.

La storia è intrisa di amicizie spezzate. L’antichità ci ha consegnato esempi potenti, tragici e simbolici, che continuano a parlare con inquietante precisione. Quando Cesare pronunciò le parole «Tu quoque, Brute, fili mi?» non fu solo il dictator a cadere sotto le pugnalate dei congiurati, ma l’uomo che si fidava dell’amico, quasi di un figlio. Bruto diventa da quel momento sinonimo del tradimento più infame, perché intimo, familiare, incomprensibile. Quel pugnale non ferì solo un corpo, ma la stessa essenza della fiducia umana. Anche la Grecia classica, culla della riflessione sull’amicizia, conobbe il dolore della fiducia tradita. Platone e Aristotele avevano chiarito che l’amicizia – la philia – era un legame sacro, basato sulla virtù e sulla reciprocità. Eppure, perfino quei rapporti ideali furono messi alla prova da tradimenti personali e politici, dimostrando che nessuna epoca, nessuna società è immune da questa ferita.

Ma nessuna figura incarna il tradimento dell’amicizia come Giuda Iscariota, apostolo prediletto e poi venditore di Cristo. Da duemila anni Giuda non rappresenta semplicemente un uomo che tradisce, ma l’amico che consegna l’amico alla morte con un gesto d’intimità – un bacio. Quel gesto, tenero per definizione, diviene qui segno supremo di infamia. I Vangeli lo tratteggiano diversamente, ma concordano su una cosa: Giuda era vicino a Gesù, conosceva i suoi segreti, era parte della cerchia più ristretta. Matteo descrive Giuda come un uomo avido, venduto per trenta monete d’argento; Giovanni lo dipinge quasi come predestinato, strumento del male necessario a compiere il disegno divino. In ogni caso, Giuda porta con sé la colpa eterna del tradimento, eppure la sua figura rimane ambigua, sfuggente.

La letteratura ha cercato spesso di comprendere Giuda, di restituirgli una dignità tragica o almeno un senso più ampio. Dante lo colloca al fondo dell’Inferno, condannato a essere masticato in eterno da Lucifero: la pena estrema per il crimine estremo, il tradimento dell’amico. Ma nei secoli successivi, il giudizio letterario e filosofico è mutato, complicando la semplice condanna morale. Nel Novecento, Jorge Luis Borges in “Tre versioni di Giuda” ci spinge verso una vertigine interpretativa: forse Giuda era il più fedele degli apostoli, l’unico a sacrificarsi davvero, a sopportare l’infamia eterna per consentire il compimento del sacrificio divino. In quest’ottica, il tradimento si trasforma in una forma estrema di amore, in un paradosso che sfida la morale comune e inquieta profondamente l’animo umano.

Giuda ci riguarda tutti da vicino. Nella storia della letteratura, non è isolato: Otello e Iago, gli amici-nemici di Shakespeare, incarnano il tradimento mosso dall’invidia e dal risentimento. Dostoevskij ne I Demoni e ne I fratelli Karamazovr acconta la sofferenza che deriva da rapporti fraterni spezzati da rancori e tradimenti, mostrando che l’amicizia tradita diventa sempre un’occasione di tragedia personale e collettiva. Così Giuda, nel suo tradimento, diventa lo specchio delle nostre insicurezze, dei nostri segreti inconfessati, del nostro potenziale lato oscuro. Tradire un amico è in fondo tradire sé stessi, spezzare quella parte intima di noi che ha bisogno dell’altro per definirsi pienamente.

Se chi viene tradito soffre per la perdita e la delusione, anche il traditore si condanna a una solitudine implacabile. Giuda, secondo Matteo, provò un rimorso tale da togliersi la vita, incapace di sostenere il peso della propria colpa. È questo forse il vero nucleo tragico del tradimento dell’amicizia: la condanna a vivere nella consapevolezza di aver distrutto qualcosa di prezioso e irripetibile. L’amicizia, del resto, non prevede tribunali o rivincite pubbliche, ma vive e muore nel silenzio dell’intimità. Quando si rompe, lascia dietro di sé un vuoto che nulla può riempire. La fiducia non torna mai davvero intera, neppure quando si riesce a perdonare. E in quel vuoto, paradossalmente, si comprende tutta la grandezza del sentimento ferito.

Il tradimento dell’amicizia è eterno perché non ammette soluzioni. Resta sospeso tra colpa e comprensione, tra rimorso e condanna. Giuda, più di chiunque altro, incarna questo dramma universale: non fu semplicemente un peccatore, ma un uomo chiamato al più terribile dei destini. Che sia stato un vile o un martire, che abbia agito per denaro o per amore, poco cambia. Il suo bacio resta impresso nell’immaginario collettivo come un monito sulla fragilità di ogni legame. Se vogliamo trarre una lezione dal suo destino, non sta nella diffidenza verso gli amici, ma nella consapevolezza della delicatezza del legame. Perché ogni amicizia, come ogni fiducia, è una promessa fragile che può durare una vita o spezzarsi in un istante, lasciandoci, come Giuda, con un’ombra che non scompare mai più del tutto. Se chi viene tradito soffre per la perdita e la delusione, anche il traditore si condanna a una solitudine implacabile. Giuda, secondo Matteo, provò un rimorso tale da togliersi la vita, incapace di sostenere il peso della propria colpa. È questo forse il vero nucleo tragico del tradimento dell’amicizia: la condanna a vivere nella consapevolezza di aver distrutto qualcosa di prezioso e irripetibile. L’amicizia, del resto, non prevede tribunali o rivincite pubbliche, ma vive e muore nel silenzio dell’intimità.                                                                                                                                                                                                         Il tradimento dell’amicizia è eterno perché non ammette soluzioni. Resta sospeso tra colpa e comprensione, tra rimorso e condanna. Giuda, più di chiunque altro, incarna questo dramma universale: non fu semplicemente un peccatore, ma un uomo chiamato al più terribile dei destini. Che sia stato un vile o un martire, che abbia agito per denaro o per amore, poco cambia. Il suo bacio resta impresso nell’immaginario collettivo come un monito sulla fragilità di ogni legame.

 

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