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Scienza e salute

Fare 10mila passi giornalieri per stare bene? Non è (sempre) vero

Il riferimento universale del fitness ha basi scientifiche?

Fare 10mila passi giornalieri per stare bene? Non è (sempre) vero

Scarpe comode, smartwatch al polso, e via: pronti a raggiungere quell’obiettivo quotidiano che sembra scolpito nella pietra del benessere moderno — i famosi 10mila passi. È un numero che ritorna ovunque: nelle app per il fitness, nei consigli del medico, perfino nei post motivazionali. Ma da dove nasce questa soglia? E soprattutto: ha davvero un fondamento scientifico?

Un numero nato... per vendere

La storia comincia nel 1965, in Giappone. Dopo il successo delle Olimpiadi di Tokyo l’anno precedente, lo spirito sportivo contagiò il Paese. L’azienda Yamasa colse l’onda giusta e lanciò sul mercato un aggeggio rivoluzionario per l’epoca: un contapassi indossabile, chiamato “manpo-kei”, che significa letteralmente “misuratore di 10mila passi”. Una scelta di marketing azzeccata, ma tutt’altro che scientifica.

Eppure, l’idea piacque. E attirò anche l’attenzione del professor Yoshiro Hatano, esperto di salute pubblica dell’università di Kyushu. In quegli anni, il Giappone affrontava un cambiamento radicale nello stile di vita: meno movimento, più calorie. Hatano studiò le abitudini di cammino dei cittadini e notò che, tra attività quotidiane e camminate mirate, le persone più attive arrivavano proprio intorno a 10mila passi. Il numero, in apparenza casuale, trovò così una sua giustificazione empirica.

Il successo globale (e i primi dubbi)

Con il passare del tempo, quel numero cominciò a fare il giro del mondo. È facile da ricordare, dà un obiettivo concreto, suona bene. Alcune istituzioni sanitarie hanno iniziato a proporlo come riferimento generico. Ma era solo questo: una scorciatoia comunicativa.

Le critiche più decise sono arrivate nel 2018, quando Mike Brannan di Public Health England dichiarò pubblicamente che non esiste alcuna linea guida ufficiale che raccomandi esattamente 10mila passi al giorno. Da lì, il castello ha iniziato a scricchiolare.

La verità è che i dati scientifici sono più complessi. Come spiega Catrine Tudor-Locke, ricercatrice americana ed esperta di monitoraggio personalizzato della salute: “Molti studi confrontano soggetti che fanno 5mila passi con altri che ne fanno 10mila. E quando emerge che i secondi stanno meglio, la conclusione affrettata è che 10mila sia il numero giusto. Ma non viene mai testato l’intero spettro di possibilità”.

Non tutti i passi contano allo stesso modo

Il problema sta proprio qui: ogni corpo è diverso. Per una persona anziana o con problemi di salute, 10mila passi possono essere troppi; per un atleta, quasi irrilevanti. E poi, un passo non vale l’altro: conta la velocità, il ritmo, lo sforzo.

Le vere linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono espresse in minuti e intensità, non in conteggi. Per una salute ottimale, si consiglia agli adulti di svolgere almeno 150 minuti settimanali di attività aerobica moderata, idealmente in sessioni di almeno 10 minuti consecutivi. In termini pratici? Camminare a un buon ritmo — circa 100 passi al minuto — per 30 minuti al giorno può essere una misura efficace.

Quindi: che fare?

Se ci atteniamo al calcolo, 30 minuti a 100 passi al minuto fanno circa 3000 passi. Sommando quelli alle camminate “spontanee” della giornata, è facile arrivare intorno ai 9-10mila passi. Ma la vera domanda non è “quanti passi fai?”, bensì: "quanto ti muovi davvero?"

Il numero sul pedometro è solo una parte della storia. Se quei passi sono distribuiti lentamente durante la giornata, magari in casa o in ufficio, l’impatto sull’organismo può essere minimo. Quel che conta sono lo sforzo percepito, l’accelerazione del battito, la respirazione più profonda. In breve: la qualità dell’attività, non solo la quantità.

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