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Formula 1
08 Maggio 2025 - 12:00
C’è una data, l’8 maggio 1982, che ogni appassionato di Formula 1 porta nel cuore come una cicatrice. È il giorno in cui Gilles Villeneuve, l’uomo che correva con il cuore, perse la vita durante le qualifiche del Gran Premio del Belgio, sul circuito di Zolder. Quarantatré anni dopo, il rombo della sua Ferrari echeggia ancora nella memoria collettiva. Non per i titoli – che non arrivarono mai – ma per lo stile, per il coraggio, per quella bellezza tragica che solo alcuni destini riescono a lasciare in eredità.
Nato a Saint-Jean-sur-Richelieu, in Québec, il 18 gennaio 1950, Gilles Villeneuve cominciò a correre nel mondo delle corse motoslitte prima di passare ai bolidi a quattro ruote. Nel 1977, Enzo Ferrari si interessò a lui dopo un incoraggiante undicesimo posto con una vecchia McLaren M23 a Silverstone e Gilles si presentò al Drake spacciandosi per più giovane di quanto fosse. Disse di essere del ’52, e talvolta del ’53, per apparire come un prodigio precoce agli occhi dei media. Una bugia innocente, che solo dopo la sua morte fu svelata. All’epoca della firma con la Ferrari aveva quasi 28 anni, non 25 come tutti credevano. Ma quella bugia, oggi, non fa che rendere la sua figura ancora più affascinante.
Enzo Ferrari, che aveva il fiuto dei grandi scopritori di talento, fu subito colpito da quell’energia selvaggia. Lo definì "un piccolo canadese con le palle", e gli affidò il volante della Rossa in sostituzione di Niki Lauda. Villeneuve debuttò in rosso nel finale della stagione ’77, ma fu nel 1978, con la vittoria nel Gran Premio del Canada a Montréal, che conquistò definitivamente il cuore dei tifosi.
Con lui, ogni gara era uno spettacolo. Ogni curva, una scommessa. La Formula 1 non era solo competizione: diventava arte. La sua guida era istintiva, aggressiva, a tratti folle.
Il 1979 fu il suo anno d’oro. Accanto a Jody Scheckter, in una Ferrari competitiva, Villeneuve lottò per il titolo. Il culmine emotivo di quella stagione fu il celebre duello con René Arnoux a Digione: tre giri finali vissuti in apnea, ruota a ruota, con staccate al limite della fisica. Non vinse il Mondiale, ma divenne immortale nel cuore degli appassionati. Scheckter si prese il titolo, ma fu Gilles il vero eroe.
Il 25 aprile 1982, al Gran Premio di San Marino, accadde qualcosa che cambiò tutto. Gilles, allora compagno di squadra di Didier Pironi, ricevette ordine dalla Ferrari di mantenere la posizione. Era primo, e avrebbe dovuto tagliare il traguardo davanti. Ma Pironi non rispettò l’accordo, lo sorpassò negli ultimi giri e si prese la vittoria. Per Villeneuve fu un tradimento irreparabile. Non gli rivolse più la parola. Due settimane dopo, a Zolder, morì senza aver mai fatto pace con lui.
L’8 maggio 1982, durante le qualifiche del GP del Belgio, Villeneuve affrontava un giro lanciato. Voleva migliorare il tempo. Incrociò la March di Jochen Mass, che si spostò per lasciarlo passare, ma fu troppo tardi. Le due vetture si sfiorarono e la Ferrari decollò. Volò in aria, si spezzò, e Gilles fu sbalzato fuori, finendo a decine di metri di distanza.
I soccorsi arrivarono in fretta, ma era chiaro fin da subito che le condiz
Il circuito di Montréal oggi porta il suo nome. Suo figlio Jacques ha vinto un titolo mondiale nel 1997. Ma nessuno ha mai preso il posto di Gilles. Perché la sua grandezza non stava nelle vittorie, ma nella maniera in cui correva. Senza calcoli. Senza maschere. Con un cuore così grande da non entrare mai nei freddi numeri delle classifiche.
Gilles Villeneuve non ha mai smesso di correre. Lo fa ancora, ogni volta che una macchina sfreccia all’improvviso, ogni volta che un pilota osa un sorpasso impossibile, ogni volta che il pubblico si alza in piedi per un gesto che sfida la logica.
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