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ChatGPT non è uguale per tutti: ecco come ogni generazione usa (in modo diverso) l’intelligenza artificiale

Secondo Sam Altman, i giovani lo trattano come un assistente personale, i boomer come un motore di ricerca. Il divario generazionale nell’uso dell’AI potrebbe riscrivere il futuro dei chatbot.

ChatGPT non è uguale per tutti: ecco come ogni generazione usa (in modo diverso) l’intelligenza artificiale

CEO Chat GPT

Che ChatGPT sia diventato uno strumento trasversale è un dato di fatto. Ma che venga utilizzato in modi profondamente diversi in base all’età è una delle rivelazioni più interessanti emerse dall’AI Ascent 2025, evento di riferimento sull’intelligenza artificiale. A sottolinearlo è stato Sam Altman, CEO di OpenAI, secondo cui ogni generazione si approccia all’intelligenza artificiale con mentalità e finalità distinte.

“Immaginate di parlare con un ventenne e poi con un trentacinquenne: la differenza nell’uso di ChatGPT è incredibile”, ha dichiarato Altman. E non si tratta solo di sfumature.

Per la Generazione Z, l’intelligenza artificiale è molto più che un semplice strumento: è una piattaforma di gestione della vita, un vero e proprio “sistema operativo”. I nativi digitali utilizzano ChatGPT per creare contenuti, risolvere problemi pratici, elaborare decisioni complesse, analizzare dati e persino organizzare la propria giornata. Utilizzano prompt articolati, integrano file, confrontano fonti e talvolta si affidano all’AI come a un life coach virtuale.

I millennial, dal canto loro, usano ChatGPT con uno spirito più ibrido: tra efficienza e intrattenimento. È uno strumento da lavoro, per aumentare la produttività e semplificare le attività ripetitive, ma anche un compagno per esplorare nuove passioni e trovare ispirazione creativa.

Il salto generazionale si fa evidente con gli over 50. Secondo Altman, “gli utenti più anziani tendono a usare ChatGPT come userebbero Google”. Cercano risposte, informazioni, spiegazioni, spesso in ambito medico, fiscale o digitale. I baby boomer, in particolare, sono i meno coinvolti: solo il 26% utilizza regolarmente l’AI, spesso per risolvere problemi tecnici o informarsi su questioni di salute.

La generazione X (45% di adozione), invece, ha trovato nell’AI un alleato nella gestione del tempo e della complessità quotidiana: suggerimenti per lavorare meglio, strumenti per automatizzare e – non di rado – un aiuto nella gestione familiare.

Le differenze generazionali hanno conseguenze rilevanti anche sul piano commerciale. OpenAI, che punta a una sostenibilità economica basata sugli abbonamenti (tra i 20 e i 200 dollari al mese), guarda con attenzione a questi trend: comprendere chi usa ChatGPT e in che modo significa anche costruire servizi più mirati.

Non a caso, Altman ha paragonato il fenomeno attuale all’esplosione degli smartphone: un’adozione inizialmente guidata dai più giovani, che poi ha conquistato anche le fasce più mature. Ma con l’AI, il divario culturale resta più profondo, e potrebbe resistere più a lungo.

In parallelo, l’azienda sta lavorando per affinare il comportamento del chatbot. Alcuni utenti, infatti, hanno notato un aumento di risposte “adulatorie”, con frasi come “Ottima domanda!” anche su temi complessi. Un tentativo, secondo alcuni analisti, di rendere l’interazione più empatica e coinvolgente, ma che rischia di creare aspettative poco realistiche.

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