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Vini
20 Maggio 2025 - 12:20
Nel panorama attuale del vino, dominato da innovazioni continue e strategie di marketing sempre più mirate, il valore della tradizione non è più universale. Se per alcuni consumatori il fascino della bottiglia resta indissolubilmente legato alla storia e all’identità territoriale, per altri – soprattutto tra le generazioni più giovani – il vino è diventato un prodotto come tanti: da bere con leggerezza, più che da comprendere a fondo.
Secondo l’analisi di Liz Thach MW, i consumatori si dividono principalmente in due macro-categorie: i low involved, orientati al prezzo, al brand e allo stile facilmente riconoscibile; e gli high involved, appassionati e attenti alla qualità, all’origine e al contesto culturale del prodotto. Tra i primi, la coerenza e la semplicità contano più della narrazione storica. È il caso del Barefoot White Zinfandel, best-seller globale per lo stile accessibile e rassicurante. Anche nel lusso, il marchio può prevalere sulla tradizione: basti pensare all’Armand de Brignac, icona più per il prestigio percepito che per l’eredità storica.
Diverso l’approccio degli high involved, che mantengono un forte legame con i territori classici – Borgogna, Bordeaux, Rioja – e investono in etichette capaci di raccontare una storia. Tuttavia, neppure questo pubblico resta impermeabile all’innovazione: brand storici come Château Angelus o Penfold’s sperimentano oggi gli NFT per tracciare l’autenticità delle bottiglie, intercettando l’interesse di collezionisti giovani e digitali. A marcare ulteriormente le differenze è la variabile generazionale. I Boomer continuano a prediligere vini legati alla tradizione, affezionati a etichette storiche e formati consolidati, come il tappo in sughero. In loro permane un forte senso di ritualità, che il vino conserva anche nell’epoca digitale.
Al contrario, Millennial e Gen Z mostrano gusti più fluidi e pragmatici. Cresciuti nell’era delle app e dell’ecosostenibilità, preferiscono proposte leggere, alternative e comunicativamente accattivanti: dai NoLo wines – a basso o nullo contenuto alcolico – fino a soluzioni dirompenti come la Piquette di Una Femme o i cannabis wines di Saka. In molti casi, il packaging colorato o una buona strategia social contano più della denominazione d’origine. Anche la cultura nazionale influenza la percezione del vino. Nei Paesi del Vecchio Mondo – Francia, Italia, Spagna – la tradizione enologica continua a esercitare un forte richiamo e la resistenza al cambiamento è più radicata. Il tappo a vite, ad esempio, fatica ad affermarsi. Al contrario, in Australia, in molte zone degli Stati Uniti e nella Cina urbana ed e-commerce oriented, l’apertura all’innovazione è quasi una norma.
In particolare, il live streaming cinese ha rivoluzionato la vendita del vino, spingendo il prodotto più come lifestyle che come oggetto di culto. Anche tra i consumatori con elevata disponibilità economica ma basso coinvolgimento culturale (high spending, low involved), l’etichetta vale per lo status, non per la storia. La tradizione vinicola, quindi, non è scomparsa, ma ha smesso di essere il baricentro unico del settore. Resta centrale per chi cerca autenticità, ma subisce la pressione di trend come sostenibilità, digitalizzazione, esperienze ibride. Il futuro del vino sembra ormai orientato verso un'integrazione dinamica tra memoria e sperimentazione.
D’altra parte, ogni grande tradizione è nata da un’innovazione. La sfida per i produttori sarà allora quella di non rinunciare alle radici, ma coltivare il presente con intelligenza e visione. Perché le tradizioni che oggi difendiamo con orgoglio sono, ieri, state considerate rivoluzionarie.
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