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20 Maggio 2025 - 17:35
20 maggio 1506. A Valladolid, in Spagna, moriva Cristoforo Colombo, forse senza neanche rendersi conto dell’impatto epocale che avrebbe avuto la sua traversata atlantica. Genovese, navigatore ostinato, sognatore compulsivo: Colombo oggi divide, affascina, infastidisce e soprattutto fa discutere. Ma cosa sappiamo davvero dell’uomo che “scoprì” l’America?
In realtà, morì convinto di essere arrivato in Asia, nonostante le evidenze dicessero altro. E quella che per secoli è stata dipinta come un’impresa gloriosa, oggi è letta anche attraverso una lente più critica: colonizzazione, violenze, e cancellazione culturale. Non è revisionismo, è storia che si aggiorna.
Se Colombo fosse vissuto oggi, probabilmente avrebbe fatto pitch su LinkedIn o proposto viaggi impossibili su Kickstarter. Invece, nel XV secolo, bussò alle corti reali. Dopo aver ricevuto rifiuti in serie, fu la regina Isabella di Castiglia a credergli: tre caravelle, un’idea fissa, e il 12 ottobre 1492 sbarcò in quella che oggi chiamiamo America.
Non fu il primo europeo ad arrivarci (i vichinghi lo precedettero), ma fu il primo a mettere l’evento in sistema, cambiando per sempre le rotte del mondo.
Dietro le mappe e i manuali scolastici c’è un dato storico: la sua impresa ha segnato l’inizio del collasso di intere civiltà indigene. Il “Nuovo Mondo” non era affatto vuoto o in attesa di essere scoperto. Colombo, nel suo secondo viaggio, si presentò con 17 navi, cavalli, e un piano espansionista. Fu l’anteprima di un’intera stagione storica basata sull’esplorazione come diritto divino, che più tardi troverà piena giustificazione ideologica nel Manifest Destiny, ovvero quella teoria secondo cui gli Stati Uniti avevano il destino “manifesto” — quasi spirituale — di espandersi da costa a costa. Questa idea, esplosa nell’800, ha radici profonde proprio nella narrazione che parte da Colombo: l’Occidente come missione civilizzatrice, la conquista come progresso.
In quel quadro Colombo diventa un’icona fondativa: il primo tassello di una storia scritta a senso unico, dove le popolazioni native vengono ridotte a nota a piè di pagina.
Per molto tempo è stato celebrato come il simbolo dell’ingegno europeo. Ma con l’avvento della decolonizzazione e della cultura post-coloniale, Colombo è diventato anche il volto dell’inizio di secoli di sfruttamento, genocidi e razzie. In molte città americane, il Columbus Day è stato sostituito dall’Indigenous Peoples’ Day. Statue abbattute, piazze rinominate, dibattiti riaccesi.
Una statua di Colombo buttata giù in Minnesota, USA
Un'altra statua di Colombo imbrattata da attivisti a Johnston, Rhode Island, USA
A più di cinque secoli dalla sua morte, la figura di Cristoforo Colombo continua a generare dibattito. Se da un lato è ricordato come uno dei protagonisti dell’età delle esplorazioni, capace di cambiare la storia globale aprendo i contatti tra Vecchio e Nuovo Mondo, dall’altro è anche associato all’inizio dei processi coloniali che portarono conseguenze drammatiche per le popolazioni indigene delle Americhe.
Il suo viaggio del 1492 è stato interpretato nel tempo in modi diversi, adattandosi alle letture culturali e politiche dei vari periodi storici. In epoca moderna, la sua impresa ha contribuito a costruire miti nazionali, ma oggi, ogni generazione lo osserva con una lente diversa: per alcuni resta una figura simbolo dell’esplorazione e del progresso scientifico, per altri rappresenta l’inizio di una storia più problematica. Al di là delle opinioni, Colombo resta un personaggio centrale nella storia mondiale, la cui eredità continua a essere oggetto di studio, confronto e ridefinizione.
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