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Salute mentale
21 Maggio 2025 - 11:50
Nel mondo di oggi, le immagini di guerre e tensioni internazionali arrivano con rapidità nelle nostre case, attraverso schermi sempre accesi. Gaza, Ucraina, Sudan: questi nomi non sono più solo luoghi lontani, ma diventano fonti costanti di ansia e inquietudine. Quello che viviamo non è solo un disagio emotivo momentaneo, ma una vera e propria reazione del nostro organismo, radicata nella nostra biologia.
Il nostro cervello è progettato per proteggerci dai pericoli. Al centro di questa difesa c’è l’amigdala, una struttura antichissima che funziona da sistema di allarme: al minimo segnale di rischio, innesca una cascata di reazioni fisiche – battito cardiaco accelerato, respiro affannoso, tensione muscolare – preparandoci a scappare o combattere. Questo meccanismo, però, non distingue tra un pericolo reale e una minaccia percepita, come le immagini di guerra trasmesse dai media. Così, anche se non siamo direttamente coinvolti, il nostro corpo si prepara comunque a una risposta che non può essere consumata, lasciandoci in uno stato di agitazione continua.
Il trauma non nasce unicamente dall’evento traumatico in sé, ma soprattutto dal modo in cui ciascuno di noi lo vive. La stessa esperienza può provocare reazioni completamente diverse da persona a persona. L’aspetto cruciale non è tanto ciò che succede, ma come il nostro sistema interno riesce a contenere, interpretare e dare un senso a ciò che sta accadendo. Quando questa capacità si rompe, si crea una ferita profonda che può isolare dalla realtà e dalle relazioni.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce infatti che il trauma è definito dalla risposta soggettiva all’evento, non dalla sua gravità oggettiva. Nonostante questo, da tali ferite può emergere anche un’opportunità di trasformazione e crescita, una rinnovata consapevolezza di sé e degli altri.
In questo contesto, la terapia di gruppo rappresenta un’oasi preziosa. Non è soltanto un momento di ascolto, ma un vero e proprio spazio di “resistenza collettiva” dove le persone possono incontrarsi, raccontarsi e sostenersi. L’esperienza condivisa riattiva la capacità del cervello di riflettere e regolare le emozioni, stimolando la corteccia prefrontale, la parte che controlla e modera le risposte istintive dell’amigdala.
Questo equilibrio tra allarme e ragione è fondamentale per ridurre l’ansia e imparare a gestirla in modo più efficace. Parlare delle proprie paure con altri che vivono sentimenti simili aiuta a uscire dall’isolamento emotivo e a sentirsi meno sopraffatti.
Ricerche recenti, come quella pubblicata da MDPI nel 2024, confermano che la terapia di gruppo può abbattere i livelli di ansia fino al 40%, diminuire lo stress e favorire strategie di adattamento più funzionali. Se da sola la parola non può risolvere ogni ferita, la condivisione diventa comunque un potente strumento di sollievo e trasformazione.
Anche se non tutti vivono direttamente il conflitto, l’impatto emotivo di ciò che accade nel mondo può raggiungere profondamente la nostra mente e il nostro corpo. In questo scenario, la terapia di gruppo emerge come un faro di speranza: un luogo dove l’ansia può essere ascoltata, compresa e gradualmente superata grazie alla forza della relazione umana. È un modo per trasformare la paura in consapevolezza e il dolore in crescita personale, ricordandoci che, anche nei momenti più difficili, non siamo mai veramente soli.
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