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21 Maggio 2025 - 17:10
Contrariamente a quanto si pensa, il turpiloquio ha da sempre avuto spazio nella cultura italiana, dalla Divina Commedia ai Sonetti Romaneschi, fino ai romanzi contemporanei di Andrea Camilleri. Non è la parola in sé a essere volgare, ma il senso e il contesto in cui viene usata.
Uno studio del 2016 ha rilevato che la parola più diffusa nel turpiloquio italiano è “c*zzo” (17,2%), seguita da “s*ronzo” (4,1%). Nel 2022, l’uso di parolacce nei media italiani è cresciuto del 16% con una maggiore presenza nei giornali online rispetto a quelli cartacei segno di una progressiva normalizzazione.
L’Italia è un paese di grande varietà dialettale, e le parolacce assumono significati diversi a seconda delle regioni. A Roma, ad esempio, possono essere sia offese feroci che espressioni affettuose, mentre al Nord prevale la schiettezza e al Sud un carattere più teatrale.
Il turpiloquio rimane uno strumento potente per esprimere emozioni come rabbia, ironia e persino affetto. Non sono le parole a essere problematiche, ma il modo e il contesto in cui vengono usate. Far finta che non esistano significa ignorare una parte autentica della nostra comunicazione quotidiana.
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