l futuro si svela a volte nei numeri. Quelli sulla qualità della vita nei capoluoghi italiani rivelano un quadro tutt’altro che rassicurante, soprattutto per chi spera in una rinascita del Paese a partire dalle sue metropoli. Tra i dati più sorprendenti c’è proprio quello che riguarda Milano: la città-simbolo dell’innovazione, dell’efficienza e della crescita si ritrova al 101° posto su 107 nella classifica generale dedicata ai giovani tra i 18 e i 35 anni. E il colpo d’occhio è ancora più desolante se si scende nel dettaglio.
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Milano chiude la classifica del «Quoziente di nuzialità» con appena 2,1 matrimoni ogni mille abitanti. Un segnale inequivocabile di disaffezione verso i legami tradizionali. E l’età media al parto, 33,4 anni al primo figlio, suggerisce che anche la maternità – e più in generale la genitorialità – sia ormai considerata un progetto da rinviare, se non da ridiscutere del tutto. Né Roma né Firenze offrono dati più confortanti, ma il problema è proprio qui: il declino è collettivo, diffuso, generalizzato.
Eppure c’è un altro dato che fa riflettere. Milano è al primo posto per trasformazione dei contratti da tempo determinato a indeterminato. Significa che il lavoro c’è, che una certa stabilità economica viene raggiunta. Ma allora perché i giovani non mettono radici?
La risposta è forse nella disillusione. Un contratto fisso non basta più a sostenere un progetto di vita familiare. Il costo della vita, la precarietà abitativa, la carenza di servizi, la fatica di costruire relazioni durature in contesti sempre più liquidi. Tutto contribuisce a un clima in cui il futuro si percepisce come un rischio più che come una possibilità.
In questo scenario, il laboratorio Milano smette di essere avanguardia e diventa monito. Perché se nemmeno dove si lavora e si guadagna si fanno figli, allora è il modello stesso che va messo in discussione. Il Paese si svuota lentamente, non per mancanza di mezzi, ma di motivazioni. E la sensazione è che ci si stia muovendo a occhi chiusi verso un crinale demografico che non è più solo allarmante: è già realtà.