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Economia e ambiente
28 Maggio 2025 - 10:45
L’industria della moda veloce continua a rappresentare una grande emergenza ambientale. Secondo una stima della società di consulenza McKinsey & Company, nel 2024 tra il 20% e il 30% degli abiti acquistati online e circa il 20% di quelli comprati in negozio sono stati restituiti. Tuttavia, riconfezionare questi capi per rimetterli in vendita comporta costi talmente elevati che, nella maggior parte dei casi, risulta più conveniente eliminarli. La stessa sorte tocca gran parte della merce invenduta.
Una parte consistente di questi vestiti viene spedita in Ghana, precisamente al porto di Accra, dove ogni settimana arrivano circa 15 milioni di capi confezionati in balle da 60 chili. Qui gli abiti vengono smistati e inviati al mercato di Kantamano, che però riesce a vendere solo 25 milioni di capi al mese. Il resto, purtroppo, finisce nelle fogne. È ormai noto che la più grande discarica di vestiti del mondo, situata nel deserto di Atacama in Cile, è visibile persino dallo spazio.
Questi dati emergono dal recente rapporto di Mani Tese dedicato proprio al fenomeno della fast fashion, ovvero alla produzione intensiva e veloce di collezioni di abbigliamento usa e getta, che contribuisce in modo significativo all’inquinamento globale.
In questo contesto, il Ministero della Transizione Ecologica (Mase) propone l’introduzione della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) per l’intera filiera tessile – abbigliamento, calzature, accessori, pelletteria e tessili per la casa. La misura punta a far sì che siano i produttori a farsi carico della gestione del fine vita dei propri prodotti, incentivando un modello circolare e più sostenibile. La consultazione pubblica sul decreto, che si è conclusa il 5 maggio, aveva proprio l’obiettivo di raccogliere suggerimenti e osservazioni da parte dei soggetti interessati.
«È evidente che serva un controllo più rigoroso», spiega Luca Campadello, Strategic Development and Innovation Manager di Erion, un consorzio no profit che gestisce diversi tipi di rifiuti. «Abbiamo collaborato con la Commissione Europea e proponiamo di mettere i produttori al centro del sistema. La direttiva europea sottolinea infatti la responsabilità dei produttori nel gestire il fine vita, organizzando reti di raccolta sul territorio, nei negozi, e supervisionando le fasi di selezione e riciclo dei materiali».
Campadello evidenzia come il decreto italiano, invece, non dia sufficientemente rilievo a questo aspetto, lasciando intendere che le pratiche attuali continueranno senza modifiche. «Per questo chiediamo che il nostro decreto venga allineato alla direttiva europea», aggiunge.
Far sì che i produttori si occupino della gestione dei rifiuti porterà a una produzione di capi più sostenibili, realizzati con materiali riciclabili e durevoli, e a un controllo maggiore sugli impianti di riciclo per evitare che rifiuti finiscano in discariche come quelle del deserto di Atacama.
Raffaele Guzzon, presidente di Erion Textiles, ricorda che dall’anno prossimo sarà vietata la distruzione degli invenduti e sarà obbligatorio dichiarare cosa accade agli articoli rimasti sugli scaffali, spesso buttati via con ancora il cartellino del prezzo.
Sul fronte tecnologico, il riciclo dei vestiti resta complesso: «La maggior parte dei capi non è fatta con un solo materiale, ma mescola tessuti e accessori come bottoni e zip», spiega Guzzon. Solo una piccola percentuale di capi realizzati in pura lana, cotone o cachemire può essere oggi riciclata efficacemente.
Diverso è il discorso del riuso: l’Italia è leader in questo campo grazie a una rete consolidata di selezionatori che analizzano ogni capo. Circa il 60% degli abiti raccolti è ancora indossabile e viene rivenduto come seconda mano. Il resto viene impiegato come materia prima per altri prodotti, ad esempio imbottiture o pannelli fonoassorbenti, mentre una minima parte viene destinata allo smaltimento.
Per quanto riguarda le fibre miste, finora il settore del riciclo non è mai riuscito a intervenire efficacemente. Tuttavia, in futuro sarà sempre più necessario, anche perché le normative europee richiederanno che i prodotti contengano una quota di materiale riciclato. Questo stimolerà i produttori a impegnarsi nel chiudere il ciclo produttivo.
Tra le aziende consorziate con Erion Textiles – che include marchi come Save The Duck, Amazon, Miroglio Fashion, Pompea, OVS, Kiabi, Decathlon, H&M – molte stanno già promuovendo campagne di sensibilizzazione rivolte ai consumatori. Questi ultimi, però, dovranno farsi carico di una parte dei costi per la gestione del fine vita attraverso un ecocontributo obbligatorio: ogni capo acquistato avrà un sovrapprezzo, che varierà in base alla quantità di prodotti comprati. Chi acquista più magliette, pagherà di più, incentivando così a preferire capi durevoli e meno usa e getta.
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