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Curiosità
29 Maggio 2025 - 14:00
C’era una volta un turista che, appena sbarcato a Tokyo, si lasciò tentare dal profumo invitante di un melonpan appena sfornato. Lo comprò da una bancarella vicino alla stazione, sorrise al venditore e, senza pensarci troppo, continuò a camminare addentando quel dolce caldo e fragrante. Passò accanto a una coppia di anziani, a un gruppo di studenti, a una madre con un bambino per mano. Nessuno disse nulla, ma lui sentì – senza capire da dove venisse – uno sguardo. Uno solo, silenzioso, garbato, eppure pieno.
Non era disapprovazione ostile. Non c’era rimprovero. Ma qualcosa, in quell’aria perfettamente ordinata, gli fece capire che forse aveva rotto l’equilibrio.
In Giappone, mangiare per strada è possibile. Non è vietato da alcuna legge. Ma in quel gesto semplice – spezzare un onigiri tra un passo e l’altro – si cela qualcosa di più profondo.
Qui, l’armonia non è un ideale vago, ma un principio che scivola silenzioso in ogni gesto quotidiano. È il wa, l’arte invisibile del non disturbare. Ogni cittadino, dal più giovane al più anziano, cresce con l’idea che il bene comune venga prima del proprio. E che anche una briciola fuori posto possa essere un’imprudenza.
Mangiare camminando non è un atto di ribellione. Ma è visto come un piccolo strappo, una distrazione che sottrae rispetto al cibo, attenzione al momento, e tranquillità allo spazio che si condivide con gli altri.
I giapponesi non temono di essere giudicati moralmente: temono piuttosto di arrecare fastidio, di diventare meiwaku per qualcun altro. Anche senza volerlo. Un involucro di plastica che svolazza, un odore troppo forte, un boccone che macchia una camicia altrui per sbaglio. È questa sottile forma di responsabilità – non imposta, ma interiorizzata – che guida il comportamento quotidiano.
In un paese dove il silenzio è una virtù, fare rumore, anche solo visivo, è un’eccezione. Attirare l’attenzione su di sé non è un vanto, ma un errore di misura.
Chi visita il Giappone per la prima volta nota presto un curioso paradosso: le strade sono pulitissime, ma i cestini sembrano scomparsi. Cercarne uno può diventare una caccia al tesoro.
Questa scelta ha origini in un episodio tragico: l’attacco con gas sarin nella metropolitana di Tokyo del 1995. Da allora, molti contenitori per i rifiuti sono stati rimossi per motivi di sicurezza. Oggi, si trovano quasi solo accanto ai distributori automatici o all’interno dei konbini, i minimarket aperti 24 ore su 24.
Un konbini
Anche le panchine, per quanto sembrino un’ovvietà urbana, scarseggiano. Alcune sono volutamente progettate per non essere troppo comode, scoraggiando così l’uso prolungato. Fermarsi per mangiare diventa quindi non solo una scelta consapevole, ma quasi una ricerca.
Questo non vuol dire che i giapponesi non amino il cibo da strada. Al contrario, è una parte importante della loro cultura culinaria. Mercati come quello di Nishiki a Kyoto o le bancarelle di Osaka offrono prelibatezze irresistibili come i takoyaki o gli yakitori.
Mercato di Nishiki, Kyoto
Qui, il cibo si consuma sul posto, in piedi vicino alla bancarella, in angoli tranquilli pensati per quello scopo. I venditori stessi spesso invitano i clienti a non allontanarsi. Non per diffidenza, ma per preservare quell’equilibrio collettivo che è tanto fragile quanto prezioso.
Per chi arriva da fuori, tutto questo può sembrare esagerato. Un’ossessione per il controllo, magari. Ma forse è solo un modo diverso di vedere il mondo.
Mangiare senza fretta. Guardarsi attorno. Saper aspettare il momento e il luogo giusto. In Giappone, anche un pasto si trasforma in un atto di attenzione e rispetto.
Così, quel turista – quello con il melonpan in mano – finì di mangiare accanto a un distributore automatico, lontano dalla folla, mentre osservava la calma del quartiere svegliarsi. E per un istante, comprese qualcosa che le guide non raccontano: che ogni gesto, anche il più piccolo, può essere parte dell’armonia.
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