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Medicina

Alzheimer, dagli USA arriva il primo test del sangue: rivoluzione nella diagnosi precoce

Approvato dalla FDA, è rapido, economico e affidabile quanto una puntura lombare. Anche in Italia potrebbe cambiare la vita a migliaia di pazienti

Alzheimer, dagli USA arriva il primo test del sangue: rivoluzione nella diagnosi precoce

Una notizia che segna una svolta storica nella lotta contro l’Alzheimer arriva dagli Stati Uniti: la Food and Drug Administration (FDA) ha dato il via libera al primo test del sangue capace di individuare precocemente la malattia. Si chiama Lumipulse G pTau217/β-Amyloid 1-42 Plasma Ratio e rileva due biomarcatori chiave: la proteina tau fosforilata e la beta-amiloide, elementi fondamentali nella diagnosi delle forme neurodegenerative.

Fino a oggi, per avere una diagnosi si doveva passare da test cognitivi, PET cerebrali o punture lombari: esami invasivi, costosi e spesso vincolati da lunghe liste d’attesa. Il nuovo metodo, invece, si basa su un semplice prelievo di sangue, è più economico, veloce e offre un'affidabilità comparabile a quella degli esami tradizionali.

Secondo la dottoressa Michelle Tarver della FDA, “questo test rappresenta un passo fondamentale per democratizzare l’accesso alla diagnosi precoce”. Negli USA sono oltre 7 milioni le persone affette da Alzheimer, e strumenti meno invasivi e più accessibili sono diventati una necessità clinica urgente.

Il test non sostituirà del tutto le tecniche tradizionali, ma potrà fungere da filtro iniziale per selezionare i pazienti da sottoporre a indagini più approfondite. Una strategia fondamentale in vista dei nuovi farmaci sperimentali come Leqembi e Kisunla, che non curano la malattia, ma ne rallentano la progressione se somministrati in tempo.

Nel nostro Paese, l’Alzheimer colpisce il 5% degli over 60, ovvero circa 500.000 persone, con numeri destinati a crescere nei prossimi anni a causa dell’invecchiamento della popolazione. La possibilità di effettuare una diagnosi precoce con un semplice esame del sangue potrebbe trasformare il modo in cui si affronta la malattia anche qui, riducendo i ritardi diagnostici e migliorando la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie.

Per il neurologo Richard Isaacson, tra i massimi esperti mondiali in Alzheimer, si tratta di “un’opportunità concreta per cambiare la gestione della malattia. Prima si interviene, più si riesce a contenere l’impatto dei sintomi”.

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