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La scoperta
11 Giugno 2025 - 18:00
Il corpo umano possiede una straordinaria capacità di autoriparazione: tagli, ferite e perfino fratture possono guarire spontaneamente. Il fegato, in particolare, può rigenerarsi fino a un terzo del suo volume originario. Tuttavia, rispetto ad alcuni animali, l’essere umano è ancora indietro nel campo della rigenerazione, specialmente quando si tratta del sistema nervoso centrale.
Alcuni rettili, anfibi e pesci, infatti, possono rigenerare interi arti e organi, inclusi cervello, cuore, retina e nervi. In questo contesto spicca il Danio rerio, noto come zebrafish, un piccolo pesce d'acqua dolce in grado di sostituire cellule retiniche danneggiate riprogrammando le cellule gliali di Müller, fondamentali per il supporto delle funzioni visive. La scienza ha a lungo tentato di imitare questa capacità nei mammiferi, senza successo. Circa 300 milioni di persone nel mondo soffrono di malattie degenerative della retina, spesso senza possibilità di recupero visivo.
Un recente studio del Korea Advanced Institute of Science and Technology, pubblicato su Nature Communications, ha però aperto nuovi scenari. Utilizzando topi da laboratorio affetti da retinite pigmentosa, i ricercatori sono riusciti a stimolare la rigenerazione della retina attraverso la soppressione della proteina PROX1. Questa proteina, presente in grandi quantità nelle cellule gliali dopo un trauma, agisce come freno alla formazione di nuove cellule retiniche nei mammiferi. Nei pesci, invece, tale blocco non si verifica.
Inibendo l’azione di PROX1, gli scienziati coreani sono riusciti a ottenere la rigenerazione dei fotorecettori, con risultati durati fino a sei mesi: un traguardo mai raggiunto prima nei mammiferi. Si tratta della prima forma di rigenerazione neurale retinica a lungo termine osservata nei topi.
Ma la ricerca non si ferma qui. In parallelo, altri team stanno lavorando su approcci alternativi, come l’uso di nanoparticelle d’oro attivate da impulsi laser per stimolare le cellule retiniche superiori e bypassare quelle danneggiate. Queste tecniche potrebbero rivelarsi fondamentali nel trattamento di patologie gravi come la retinite pigmentosa e la degenerazione maculare.
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