Da anni il vintage è visto come una scelta ecologica, un modo per ridurre gli sprechi e ridurre l’impatto ambientale della moda. Ma negli ultimi cinque anni, non è più solo la sua missione sostenibile a renderlo interessante, quanto l'approccio innovativo della Gen Z. Questa generazione ha preso il vintage, lo ha mescolato con l’estetica di Tumblr, la cultura di TikTok e una narrazione ossessiva, dando vita a un nuovo linguaggio visivo che non si limita a vendere "vestiti usati", ma crea mondi emotivi.
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Un esempio lampante di questo fenomeno è Anemonia, un progetto italiano che si distingue nel panorama del second hand. Fondato da Linda ed Eleonora, due giovani romane, Anemonia è più di un semplice negozio vintage. È un archivio emozionale e un luogo fisico a Berlino, dove ogni capo non è solo un pezzo di abbigliamento, ma un racconto. La forza del progetto sta nella sua comunicazione, tutta curata internamente: styling, grafica, fotografia e copy sono pensati per evocare emozioni, raccontando storie attraverso i capi, non solo mostrandoli. Non è solo un acquisto, ma un’esperienza visiva e narrativa che ha conquistato il cuore della Gen Z.
Anche il progetto Mercanzia, nato in Sicilia, segue questa direzione. Qui, la moda vintage è un contenitore di storie, ricordi e racconti emotivi. I fondatori Miriam, Rosario e Giovanni creano un archivio online che va oltre la semplice vendita. Ogni capo ha una sua narrazione, spesso accompagnata da lettere, fotografie o oggetti trovati nelle tasche degli abiti. La loro visione non si limita alla nostalgia, ma cerca di raccontare il Sud Italia in modo autentico e crudo, lontano dai luoghi comuni.
La stessa idea di un archivio come linguaggio curatoriale emerge da Elevated Archives, nato a Padova. Con un focus su capi iconici di designer come Margiela, Raf Simons e Helmut Lang, il progetto ha evoluto il concetto di vintage in un’espressione culturale più alta. Per i fondatori, il vintage è l’unico modo per accedere a capi con una forte identità, senza dover ricorrere al fast fashion o spendere cifre eccessive per pezzi nuovi. La proposta è diventata tanto forte che oggi hanno uno store fisico a Milano, dove non si vendono solo capi, ma si espongono e raccontano storie legate a ciascun pezzo.
Questi esempi evidenziano un aspetto fondamentale del vintage contemporaneo: la capacità della Gen Z di dare un contesto emotivo e visivo ai capi, creando una connessione profonda tra chi acquista e ciò che acquista. Ogni pezzo non è solo un vestito, ma un simbolo, una traccia di una narrazione che risuona con la generazione che lo vive. Non si tratta solo di sostenibilità, ma di desiderabilità, di come ogni capo possa raccontare una storia e far parte di una cultura condivisa.
In questo scenario, il vintage non è più solo una scelta di moda ecologica, ma un linguaggio nuovo, in grado di unire estetica, narrazione e accessibilità. La Gen Z ha infatti trasformato il vintage in qualcosa di più profondo, un modo per esprimere l’individualità, senza rinunciare alla sostenibilità, ma rendendo ogni capo un pezzo unico, desiderabile e ricco di significato.