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16 Giugno 2025 - 11:35
Si è conclusa con una dichiarazione politica non vincolante, ma ricca di promesse e obiettivi, la terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani (UNOC3), che dal 9 al 13 giugno ha riunito a Nizza oltre 170 paesi, sotto la guida congiunta di Francia e Costa Rica. Il documento finale, intitolato “Il nostro oceano, il nostro futuro: uniti per agire con urgenza”, rappresenta il cosiddetto Piano d’Azione per gli Oceani di Nizza.
Tuttavia, dietro le parole ispirate e gli impegni volontari, resta un’amara constatazione: l’azione concreta è ancora lontana dalla scala necessaria per proteggere i mari del mondo.
Il bilancio è chiaro: l’oceano globale e i suoi ecosistemi sono in crisi, messi a dura prova da cambiamento climatico, inquinamento, perdita di biodiversità e sfruttamento eccessivo della pesca. La dichiarazione conclusiva sollecita il rispetto di accordi già esistenti come l’Accordo di Parigi e il Quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montreal, e chiede un’azione urgente per affrontare l’inquinamento da plastica.
Eppure, il grande assente resta il tema dei combustibili fossili, mai citati esplicitamente, nonostante il loro impatto diretto sulla crisi climatica: una scelta che lascia perplessi, vista la centralità del tema nella salute degli oceani.
High Seas Alliance afferma comunque che "l'evento ha offerto un momento di riflessione, riconoscimento e ambizione condivisa per il prossimo capitolo della protezione dell'alto mare. Mentre ci avviciniamo a una fase critica per il Trattato sull'alto mare, questo evento è stato un potente promemoria di ciò che possiamo realizzare insieme, con ambizione".
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Un risultato tangibile del summit è il passo avanti del Trattato sull’alto mare, approvato nel 2023 per regolamentare la protezione della biodiversità nelle acque internazionali. Durante la conferenza, si è passati da 27 a 50 ratifiche, e una decina di paesi ha promesso di completare il processo entro fine anno. Si avvicina così la soglia delle 60 ratifiche necessarie per l’entrata in vigore del trattato, che permetterà l’istituzione di aree marine protette in alto mare, finora prive di un quadro giuridico unitario.
Un esempio lampante dell’impegno concreto è arrivato dalla Polinesia Francese, che ha istituito una nuova area protetta di 4,8 milioni di chilometri quadrati, la più estesa al mondo, superando ampiamente il precedente record statunitense.
Tra i temi più discussi anche quello dell’inquinamento da plastica, un’emergenza crescente: si stima che entro il 2040 ben 37 milioni di tonnellate potrebbero finire ogni anno in mare. I negoziati per un trattato giuridicamente vincolante sono iniziati nel 2022 e, nonostante un ritmo insolitamente serrato, nessun accordo definitivo è stato ancora raggiunto.
A Nizza, un vertice informale ha visto riunirsi quaranta ministri guidati dalla direttrice UNEP Inger Andersen, con l’obiettivo di rilanciare i negoziati. La prossima tappa sarà Ginevra, ad agosto, dove si ripartirà dalla bozza elaborata a Busan. Il trattato dovrebbe coprire l’intero ciclo di vita della plastica, ma i contrasti con gli interessi economici – in particolare quelli legati all’industria petrolifera – rimangono profondi. Basti pensare che, tra i 97 firmatari della dichiarazione politica per un trattato ambizioso, solo uno (il Canada) è tra i maggiori produttori mondiali di petrolio.
Acceso anche il dibattito sull’estrazione mineraria dai fondali marini. Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito l’attività “una follia” e ha ribadito che “l’oceano non è in vendita”. Anche António Guterres, segretario generale dell’ONU, ha lanciato un duro monito contro “l’avidità” che rischia di condurre l’umanità al collasso ambientale".
In conclusione, la Conferenza di Nizza ha certamente dato nuovo slancio alla diplomazia ambientale, ma resta ancora molto da fare per passare dalle parole ai fatti.
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