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Crampi mestruali, quando il dolore è reale ma non viene ascoltato

Soffrire in silenzio non è una scelta, è una condizione imposta da stereotipi, ignoranza e una medicina ancora troppo cieca di fronte al dolore femminile

Crampi mestruali, quando il dolore è reale ma non viene ascoltato

Il dolore mestruale è reale. Ma spesso, non viene creduto.
Le donne che soffrono di dismenorrea – ovvero di dolori mestruali intensi – si sentono dire frasi come “è normale”, “passa con un po’ di riposo”, “è solo stress”. Eppure, studi clinici dimostrano che il dolore mestruale può raggiungere intensità paragonabili, se non superiori, a quelle di un infarto. Nonostante ciò, continua a essere minimizzato, banalizzato o ignorato del tutto.

Una diagnosi che può richiedere anni
Nel caso dell’endometriosi, una patologia cronica e dolorosa che colpisce almeno una donna su dieci, la media del tempo necessario per ricevere una diagnosi è di circa 8-10 anni. Dieci anni di visite, esami, dubbi, invalidazione e spesso vero e proprio gaslighting medico – ovvero la messa in discussione sistematica delle testimonianze delle pazienti.

Il problema è culturale e sistemico
Alla base di questa sottovalutazione ci sono stereotipi antichi quanto la medicina stessa: l’idea che le donne siano “più emotive”, “più fragili”, e quindi meno attendibili quando parlano del proprio corpo. Il dolore femminile è spesso interpretato come esagerato, psicosomatico o addirittura “normale”, soprattutto quando è legato al ciclo mestruale. In questo modo, condizioni gravi vengono trascurate per anni.

Una nuova sensibilità, ma non ovunque
Alcuni Paesi – come Spagna e Giappone – stanno cominciando a riconoscere il dolore mestruale come motivo valido per un congedo mestruale retribuito. È un passo importante, simbolico e pratico, verso il riconoscimento di una sofferenza reale. Ma in molti altri contesti, parlare apertamente di mestruazioni è ancora un tabù, figuriamoci riconoscerle come causa legittima di malessere.

È ora di cambiare la narrazione
Il dolore non è mai “normale”. È un segnale che qualcosa non va. E quando una donna dice che soffre, va ascoltata. Serve una medicina più attenta e una società più informata. Serve smantellare i pregiudizi che ancora condizionano il modo in cui guardiamo – o ignoriamo – il dolore femminile.

Perché credere alle donne non è un atto di gentilezza. È giustizia.

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