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nutrizione
17 Giugno 2025 - 15:25
Quante volte, cenando davanti alla TV o scrollando i social, ci siamo ritrovati con il piatto vuoto senza quasi accorgercene? E magari, subito dopo, con una strana voglia di mangiare ancora, come se il pasto non fosse mai avvenuto. Non è solo una sensazione: a suggerire che la memoria giochi un ruolo chiave nel regolare quanto mangiamo è una nuova ricerca pubblicata su Nature Communications, condotta dai neuroscienziati dell’Università della California Meridionale.
Lo studio, realizzato su modelli animali, ha scoperto che durante i pasti si attiva una specifica regione del cervello, l’ippocampo ventrale, nota per essere coinvolta nell’apprendimento e nella formazione dei ricordi. Qui, particolari neuroni formano quelli che vengono chiamati “engrammi”, tracce mnestiche dell’esperienza alimentare. In parole semplici, ogni pasto lascia una sorta di impronta nella nostra memoria. «Un engramma è la traccia fisica che un ricordo lascia nel cervello», spiega Scott Kanoski, professore di scienze biologiche e coautore dello studio. «Nel caso dei pasti, funziona come un database biologico che immagazzina informazioni fondamentali: cosa, dove e quando abbiamo mangiato».
E cosa succede se questi "archivi" non si formano correttamente? I ricercatori hanno osservato che, nei ratti, l’interruzione della comunicazione tra l’ippocampo e un’altra area chiave per il controllo dell’appetito – l’ipotalamo laterale – porta a un comportamento alimentare eccessivo. I roditori tendevano a dimenticare di aver mangiato e a ricominciare a cercare cibo.
Questa scoperta getta luce anche su situazioni umane. Le persone affette da demenze o lesioni cerebrali spesso manifestano un’alimentazione disorganizzata, mangiano più volte al giorno o in modo compulsivo. Non perché abbiano più fame, ma perché il cervello non registra correttamente l’atto di nutrirsi. Il problema, però, non riguarda solo chi ha patologie neurologiche. Anche la semplice distrazione può interferire con la formazione degli engrammi. I ricercatori hanno osservato che i ratti "registrano" l’esperienza del pasto nei momenti di pausa tra un morso e l’altro, quando si fermano e osservano l’ambiente. Se l’attenzione viene deviata altrove, quel tempo di consolidamento del ricordo si perde.
Ecco perché mangiare guardando la TV, lavorando al computer o scrollando lo smartphone può portare a consumare porzioni eccessive: il cervello non ha registrato l’evento come "avvenuto" e, in mancanza di un ricordo recente del pasto, torna a stimolare l’appetito.
Lo studio apre a nuove prospettive anche sul fronte della prevenzione dell’obesità. Migliorare la consapevolezza durante i pasti, favorendo un contesto privo di distrazioni e focalizzato sul momento presente, potrebbe aiutare il cervello a registrare meglio ciò che mangiamo – e, di conseguenza, a farci mangiare meno.
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