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La Cina segna un punto di svolta: emissioni in calo mentre l’energia pulita cresce

Nel primo trimestre del 2025, la Cina registra per la prima volta un calo delle emissioni di CO₂ non legato a crisi economiche, ma all'espansione delle rinnovabili. Un segnale epocale che ridefinisce gli equilibri della transizione energetica globale

La Cina segna un punto di svolta: emissioni in calo mentre l’energia pulita cresce

Per la prima volta nella sua storia recente, la Cina ha registrato una diminuzione delle emissioni di CO₂ mentre la domanda di energia elettrica continuava a crescere. Un fatto senza precedenti che segna un cambio di paradigma: la transizione energetica nel paese che guida la classifica mondiale delle emissioni clima alteranti non è più solo uno slogan politico o un obiettivo sul lungo periodo, ma una realtà in atto.

Secondo una recente analisi pubblicata da Carbon Brief, le emissioni cinesi nel primo trimestre del 2025 sono diminuite dell’1,6% rispetto allo stesso periodo del 2024, e dell’1% se si considerano gli ultimi dodici mesi. Ma ciò che colpisce non è solo il dato numerico, quanto la sua causa: per la prima volta, il calo delle emissioni non è riconducibile a rallentamenti economici o misure di contenimento pandemico, bensì alla crescita vertiginosa delle energie rinnovabili.
Negli ultimi dodici mesi, la crescita dell’energia prodotta da fonti solare, eolica e nucleare ha coperto l’intera nuova domanda elettrica, mentre la produzione da fonti fossili è rimasta stabile o in calo. L’idroelettrico ha tenuto il passo, ma il dato più significativo riguarda la produzione termoelettrica – principalmente da carbone e gas – che è scesa del 4,7%, a fronte di una domanda in crescita del 2,5%.

In sintesi: la Cina ha prodotto più energia, ma lo ha fatto senza aumentare il consumo di carbone. Anzi, la quantità media di carbone necessaria per generare elettricità è diminuita dello 0,9% rispetto all’anno precedente. Un risultato che, fino a pochi anni fa, sembrava impensabile. A trainare la transizione è soprattutto il fotovoltaico. Solo nei primi tre mesi del 2025, la Cina ha installato 36 gigawatt (GW) di impianti solari su tetto – una cifra vicina alla capacità fotovoltaica totale dell’Italia a fine 2024. Se si considera l’intero comparto solare, il totale arriva a 60 GW in un solo trimestre.
Parallelamente, anche l’eolico ha registrato una forte espansione. Il sorpasso delle rinnovabili sulle fonti fossili è ormai evidente nei dati trimestrali, e gli analisti prevedono che il trend continuerà lungo tutto il 2025. Secondo Carbon Brief, la Cina potrebbe essere sul punto di toccare il picco storico delle sue emissioni di CO₂ e, forse, di avviarsi verso un declino strutturale.

La transizione energetica cinese non si ferma ai confini nazionali. Attraverso la Belt and Road Initiative (BRI), Pechino esporta impianti e tecnologie rinnovabili in tutto il mondo. Un tempo sinonimo di investimenti in carbone e petrolio, oggi la BRI è dominata da progetti eolici e solari. Tra il 2022 e il 2023, il 68% degli investimenti energetici cinesi all’estero è stato destinato a fonti rinnovabili, superando quelli di Stati Uniti ed Europa messi insieme. Dai Balcani all’Africa, dal Sudest asiatico all’America Latina, la Cina sta materialmente costruendo la transizione energetica nei Paesi in via di sviluppo. Una strategia che rafforza l’influenza globale di Pechino, consolidandone il ruolo di leader industriale nelle tecnologie verdi.


Ma il modello cinese non è privo di contraddizioni. Il successo del settore delle rinnovabili si fonda anche su costi di produzione molto bassi, spesso ottenuti tramite economie di scala, salari contenuti e, in alcuni casi documentati, pratiche di sfruttamento. Le regioni occidentali del Paese, come lo Xinjiang, sono state più volte al centro di accuse riguardanti lavoro forzato nella filiera del solare.
Il dibattito occidentale si interroga su come garantire una transizione giusta, che non sia solo ecologicamente sostenibile ma anche rispettosa dei diritti sociali e umani. Se l’Europa vuole costruire una propria filiera alternativa, dovrà farlo puntando non solo sull’efficienza ma anche su principi di trasparenza e responsabilità sociale. Eppure, nonostante i progressi, la Cina è ancora lontana dal raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Molto dipenderà dal nuovo piano quinquennale che Pechino pubblicherà nel 2026. Quel documento delineerà la rotta fino al 2030 e ci dirà se la Cina intende accelerare o rallentare la propria decarbonizzazione.

Nel frattempo, anche in Europa si avvertono segnali positivi. La vicepresidente della Commissione Europea Teresa Ribera ha confermato che l’UE è vicina a raggiungere i propri obiettivi climatici. Ma per rimanere competitiva e protagonista della transizione ecologica, l’Europa dovrà guardare con attenzione all’esempio della Cina.

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