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The Blues Brothers: 45 anni di caos, soul e rivoluzione

Dal Saturday Night Live al mito eterno del cinema: come due uomini in missione per conto di Dio hanno riscritto le regole del musical, della commedia e della cultura pop.

The Blues Brothers: 45 anni di caos, soul e rivoluzione

Quando John Landis portò sul grande schermo The Blues Brothers, probabilmente non immaginava che stava dando vita a qualcosa di più di un semplice film. Quella miscela esplosiva di musica, azione, comicità demenziale e spirito ribelle, uscita nelle sale il 20 giugno 1980, è diventata in breve tempo un cult eterno. Oggi, 45 anni dopo, la pellicola è ancora un riferimento imprescindibile nella storia del cinema pop.

Realizzare The Blues Brothers fu tutt’altro che semplice. Nato da un’idea di John Belushi e Dan Aykroyd — due volti storici del Saturday Night Live — il progetto prese vita tra mille ostacoli. Aykroyd scrisse una sceneggiatura mastodontica e caotica, che mise a dura prova il regista Landis, costretto a dare una forma coerente a un copione ingestibile. Ma ciò che sarebbe potuto crollare su se stesso, finì per trasformarsi in una delle produzioni più anarchiche e affascinanti di sempre.

L’America degli anni ‘70 era in pieno fermento. Si chiudeva l’era delle Pantere Nere, Muhammad Ali e della blaxploitation. The Blues Brothers affonda le radici proprio in quel periodo, celebrando la cultura afroamericana attraverso la musica, lo stile e lo spirito di rivolta. Non a caso, nella pellicola compaiono leggende come James Brown, Ray Charles, Aretha Franklin e Cab Calloway: icone culturali, non semplici comparse.

Il budget iniziale di 18 milioni di dollari fu bruciato in un lampo. Le riprese furono caotiche, segnate dagli eccessi di Belushi, la cui tossicodipendenza era già fuori controllo. La produzione dovette affrontare spese folli: dalle decine di auto distrutte nelle sequenze di inseguimento più assurde mai girate, fino all’uso massiccio di sostanze stupefacenti sul set. Eppure, da questo disordine nacque un capolavoro irripetibile.

Oltre all’ironia e alle gag surreali, The Blues Brothers è un film apertamente critico verso l’America conservatrice. Landis colpisce duro le istituzioni, la polizia, i fanatici religiosi e persino i nazisti dell’Illinois, mescolando azione e musical con una satira pungente. Jake ed Elwood sono eroi improbabili che tentano di salvare l’orfanotrofio della loro infanzia, scatenando un’odissea musicale e dissacrante.

Il film è una miscela unica: noir, commedia demenziale, road movie e musical si fondono in un’opera che sfugge a ogni catalogazione. Le prime sequenze sono silenziose e spirituali, seguite da dialoghi surreali e momenti di pura follia. Belushi e Aykroyd sono in perfetta sintonia, circondati da musicisti leggendari come Murphy Dunne, Steve Cropper, Donald Dunn, e Tom “Bones” Malone.

C’è tutto in The Blues Brothers: inseguimenti folli, birra, cavallette, spettacoli country improvvisati, l’ex fidanzata armata di mitra, e infine il carcere. Ma soprattutto c’è un’idea di cinema libero, imprevedibile, disobbediente. Un cinema che non teme di giocare con le convenzioni per smascherarle.

The Blues Brothers non ha mai smesso di far discutere. Due bianchi che rendono omaggio alla cultura black avrebbero potuto generare accuse di appropriazione culturale. Eppure, quel tributo è sincero, energetico, travolgente. Ed è proprio questo che rende il film ancora oggi intoccabile: Jake ed Elwood non si appropriano, esaltano, con una passione autentica per la musica che amano.

John Landis — autore anche di Animal House, Una poltrona per due e Il principe cerca moglie — ha sempre avuto un tocco caustico e anticonformista, e qui si esprime al massimo. The Blues Brothers non è solo un film, è un atto di ribellione mascherato da farsa, un’opera dove il nonsense diventa linguaggio e la parodia si fa strumento critico.

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