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Mounjaro e la Golden dose: tra terapia fai-da-te e ossessione per il peso

Usi impropri, pericoli nascosti e stigma sociale: il nuovo volto dei farmaci anti-obesità, tra social network e sfiducia nel sistema sanitario

Mounjaro e la Golden dose: tra terapia fai-da-te e ossessione per il peso

Faccio la Golden dose di ogni penna che uso. Mi sembra uno spreco non farlo”. È una frase ricorrente tra gli utenti di Instagram, TikTok e Reddit che assumono Mounjaro, il farmaco a base di tirzepatide, nato per trattare il diabete di tipo 2 ma diventato una delle armi principali nella lotta all’obesità. Il 23 febbraio 2025, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ne ha autorizzato il rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale, ma solo per usi ufficialmente approvati. Tutti gli altri restano a carico del cittadino.

In rete, il farmaco diventa materia “open source”: dosaggi modificati, residui recuperati e tecniche condivise in tutorial virali per ottimizzare ogni milligrammo. Ma dietro l’ingegnosità degli utenti, si nascondono rischi clinici reali.

La Golden dose non è altro che il residuo rimasto nelle penne pre-riempite di Mounjaro dopo le quattro iniezioni settimanali previste. Tecnicamente, quei 0,6 mg in più servono a garantire la corretta erogazione del farmaco. Ma molti utenti se li iniettano come “quinta dose”, trasformando una precauzione tecnica in una dose vera e propria, al di fuori di ogni controllo medico.

Il Dr. Edoardo Mocini, esperto in Scienza dell’Alimentazione, avverte: “Non è una vera dose. Usarla significa violare la sicurezza farmacologica, aumentando il rischio di effetti collaterali e infezioni”. Dopo l’uso, le penne non sono più sterili: prelevare il residuo con siringhe di insulina acquistate online può introdurre batteri, con conseguenze gravi come accumuli di pus, sepsi e perfino pancreatite acuta.

Sui social, Mounjaro è diventato il simbolo della perdita di peso autonoma, alimentando una cultura del biohacking in cui l’individuo si sostituisce al medico. “Sono rimasto due mesi sulla penna da 2,5 mg”, scrive un utente, mentre un altro mostra come prelevare dosi extra con una pinza idraulica. L’estrazione casalinga non è nuova: già l’anno scorso, le stesse pratiche erano diffuse con le penne monodose per ottenere micro-iniezioni supplementari.

Dietro l’escamotage, spesso, si nascondono motivi economici. Negli Stati Uniti, senza copertura assicurativa, una penna può costare centinaia di dollari. L’idea che con 12 penne si possano ottenere 14 dosi trasforma il residuo da spreco a valuta terapeutica. Ma il risparmio può costare caro: “Aumentare il dosaggio senza indicazione riduce la tollerabilità e l’efficacia a lungo termine”, spiega ancora Mocini.

Secondo uno studio finanziato da Eli Lilly e pubblicato su The New England Journal of Medicine, la tirzepatide ha portato a una perdita di peso media del 20,2% contro il 13,7% della semaglutide (Ozempic, Wegovy). Tuttavia, lo switch tra farmaci, così come il dosaggio accelerato, dev’essere sempre monitorato clinicamente. La Jefferson University ha osservato che passare direttamente da semaglutide a tirzepatide da 5 mg può essere sicuro, ma solo sotto controllo medico.

Molti scelgono la Golden dose per vergogna o sfiducia nei confronti del sistema sanitario. Il saggio “Obesità” dello psichiatra Michele A. Rugo denuncia la stigmatizzazione del paziente obeso, anche in ambito sanitario. Dietisti che evitano i reparti intensivi, medici che trascurano l’obesità e pazienti che, sentendosi giudicati, evitano le cure. Un bias culturale che induce molti a curarsi da soli, esponendosi a gravi rischi.

Uno studio della University of South Florida ha rivelato che i costi cumulativi dei GLP-1 possono superare quelli della chirurgia bariatrica (come il bypass gastrico) in meno di un anno. Eppure, la paura del recupero del peso spinge molti a restare dipendenti dai farmaci. Uno studio dell’Università di Oxford ha dimostrato che, a un anno dalla sospensione, il peso perso con i GLP-1 viene quasi sempre riacquistato.

Il futuro della ricerca non è un nuovo farmaco “più forte”, ma una soluzione post-trattamento che impedisca l’effetto rebound. Fintanto che la sospensione comporterà il ritorno ai chili persi, ogni ciclo farmacologico sarà percepito come una relazione destinata a finire male.

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