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In Transilvania esiste un villaggio dove si vive a lungo e felici: ecco perché

Un antico sistema di gestione comunitaria della terra e un legame profondo con la natura potrebbero spiegare una vita più serena

In Transilvania esiste un villaggio dove si vive a lungo e felici: ecco perché

In una fresca serata crepuscolare, tre anziani seduti attorno a un tavolo in legno in una chiesa del XIII secolo discutono placidamente, sorseggiando tè e sgranocchiando biscotti a forma di pretzel. È la vita quotidiana a Karácsonyfalva, un villaggio della Transilvania rurale, in quel Crepúsculo dove regna la calma: il piccolo centro è circondato da foreste, api che ronzano, anatre che sguazzano, e un cane bianco che abbaia nel buio.

Qui, nel cuore di paesaggi che ricordano la Toscana, vive la comunità Székely: un gruppo etnico ungherese radicato in questa terra da oltre mille anni. Parlando ungherese, anziano e giovane, perpetuano una tradizione ancestrale. Al capo del villaggio c’è Orbán Csaba, 70 anni, guida lungimirante del Közbirtokosság, una forma di proprietà condivisa che gestisce acqua, pascoli e boschi di oltre 1 000 ettari divisi fra 347 membri. Un sistema millenario, ma tutt’altro che arcaico: «Quando arriva l’inverno, tutti hanno abbastanza legna», afferma Orbán.
Dopo che il regime comunista di Ceausescu tentò di cancellare il modello comunitario, solo grazie a documenti antichi (elenco del 1936, registri del 1946) il villaggio ha potuto restaurare i suoi diritti collettivi nel 2000. La loro storia di resistenza e recupero emerge dai volti commossi intorno al tavolo: un padre che ritrova il nome del nonno tra i soci del tempo passato, un gesto che risveglia orgoglio e memoria.

Karácsonyfalva è un microcosmo vivente: chai unitariano, tetti ruggine, cancelli scolpiti, pali con nidi di cicogna, cortili con greggi e galline. Qui, la comunità pratica l’agricoltura di sussistenza, organizza eventi come la Festa della Castagna e rievoca antichi riti sociali, come il "matrimonio di bambini" simbolico. E tutto avviene nel rispetto dell’ecosistema: Öcsi Mátyás, cacciatore e custode del bosco, controlla gli animali selvatici con telecamere: orsi, cervi e volpi, compresa Vuki, una volpe curiosa che li osserva di nascosto.

Il Közbirtokosság custodisce la risorsa più preziosa: la foresta, fonte di calore, biodiversità e sopravvivenza. Nessuno può accumulare ricchezza eccessiva.

La tradizione vive anche nella quotidianità: dal rituale annuale della macellazione del maiale fino al consumo consapevole: «Mangia ciò che coltivi», dice Zsolt-Csaba, addetto al negozio e ricorda che la sua generazione rischia di essere l’ultima a conoscere quei rituali. Nel frattempo, il mondo intorno cambia: inverni più caldi, siccità, esodi giovanili, tensioni etniche, minoranze messe alla prova. Ma orbitano resistenze come quella del Közbirtokosság, custode dei legami comunitari e della trasmissione tra generazioni. Orbán spera già in chi prenderà il suo posto: chi continuerà a coltivare questa terra, questa memoria e questa serenità.

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