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Spotify nella bufera: il CEO investe in armi e scoppia il boicottaggio

L’investimento di Daniel Ek in tecnologia militare scatena proteste da parte degli artisti. “Li avrei ritirati immediatamente dalla fottuta piattaforma”, scrive Piero Pelù

Spotify nella bufera: il CEO investe in armi e scoppia il boicottaggio

Spotify nella bufera: il CEO investe in armi e scoppia il boicottaggio

Perchè sempre più persone stanno boicottando Spotify?

La risposta sta nelle recenti scelte finanziarie di Daniel Ek, cofondatore e CEO della piattaforma. La notizia che ha scosso utenti e artisti riguarda un importante investimento nel settore bellico: Ek ha guidato un round di finanziamento da 600 milioni di euro a favore della scaleup tedesca Helsing, azienda che sviluppa sistemi di intelligenza artificiale per applicazioni militari, tra cui droni autonomi, difesa aerea e analisi dei dati in scenari di guerra. Ek è stato nominato anche presidente del Consiglio d’Amministrazione dell’azienda.

Non si tratta di una novità assoluta: già nel 2021 Ek aveva partecipato a un primo round di investimenti in Helsing, con un’iniezione iniziale di circa 100 milioni di euro. Anche allora aveva motivato la scelta come parte di una strategia per rafforzare l’indipendenza tecnologica europea nel settore della difesa.

Ma le critiche non si sono fatte attendere, soprattutto da parte del mondo musicale. Già nel 2021 diversi artisti avevano protestato, accusando Ek di utilizzare i proventi della musica per finanziare la guerra. E ora, con il nuovo maxi-investimento, la polemica è tornata a esplodere.

Diversi musicisti si sono espressi sui social, annunciando anche il ritiro della propria musica dalla piattaforma. Tra questi c'è anche Auroro Borealo. Ma il post italiano che ha fatto più scalpore è sicuramente quello di Piero Pelù, che ha scritto:

"Purtroppo, i master di tutti i miei dischi non mi appartengono più altrimenti li avrei ritirati immediatamente dalla fottuta piattaforma di questo schifo di individuo."

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Non è la prima volta che artisti prendono posizione contro Spotify: in passato anche Neil Young e Taylor Swift avevano ritirato temporaneamente la loro musica per ragioni diverse, per poi fare ritorno. Tuttavia, come dimostra proprio il caso di Pelù, il ritiro dei brani non è sempre un’opzione immediata o alla portata degli artisti. Spesso, infatti, i diritti sono detenuti da case discografiche o distributori che decidono in autonomia se mantenere o meno le opere sulla piattaforma.

Le reazioni, intanto, continuano a moltiplicarsi. Il boicottaggio potrebbe non solo generare perdite economiche, ma anche danneggiare ulteriormente l’immagine di Spotify, che già da tempo affronta critiche su diversi fronti, una su tutte i compensi degli artisti.
Solo le prossime settimane potranno dirci se si tratta solo di una fiammata social o dell’inizio di una crisi più profonda.

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