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Paure
16 Luglio 2025 - 14:15
C’è chi teme il volo, chi l’aereo in ritardo, chi le valigie smarrite. Ma oggi, nella geografia sempre più vasta dell’ansia moderna, c’è anche chi teme una cosa più sottile: non avere alcun viaggio all’orizzonte. Si chiama notriphobia, e – anche se il termine non ha ancora ricevuto il bollino della scienza – descrive una sensazione reale, che riguarda circa il 40% degli italiani, soprattutto tra i 18 e i 30 anni.
Nata sulla scia della celebre FOMO (fear of missing out), la notriphobia non è alimentata da un evento in corso, ma da un’assenza: quella di un volo, di una prenotazione, di una mappa mentale da seguire. Tra le cause principali si individua la ferita ancora aperta del lockdown: l’improvvisa impossibilità di viaggiare, vissuta come trauma da una generazione abituata a muoversi. Oggi, quell’esperienza alimenta l’ansia preventiva che possa succedere di nuovo. Ne nasce un comportamento tipico: quello del “bagaglio sempre pronto” e del piano vacanze sempre aggiornato.
La notriphobia si manifesta in sintomi psicologici leggeri ma persistenti: bisogno compulsivo di cercare mete, irritabilità in assenza di piani, malinconia da calendario vuoto. Un vuoto che diventa quasi fisico. Su TikTok e Instagram, i post con l’hashtag #notriphobia si moltiplicano. Non è un caso: la cultura della condivisione spinge molti a vivere il viaggio come affermazione personale, e a sentire la sua assenza come una sconfitta. Non si viaggia più (solo) per esplorare, ma per documentare e mostrare, in una corsa a riempire ogni weekend di esperienze “da postare”.
Non riguarda solo i giovani. Anche chi viaggia spesso per lavoro finisce per dipendere psicologicamente dal movimento: senza una prossima meta, si sente fuori rotta, disorientato, meno performante.
Secondo alcuni esperti, la vera fonte di piacere per chi soffre di notriphobia non è il viaggio in sé, ma la sua pianificazione. Il solo prenotare, incastrare date, sognare itinerari genera dopamina e dà l’illusione di un tempo ben impiegato, pieno, proiettato verso qualcosa.
Non si tratta di demonizzare il desiderio di partire. Ma di imparare, come suggeriscono alcuni psicologi, a convivere con l’attesa. Tra le strategie consigliate:
organizzare esperienze locali gratificanti
valorizzare hobby e relazioni sociali
usare i periodi “fermi” come occasioni per riposare e ricaricare
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