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Maturità: ha ancora senso puntare al 100? Quando il voto non fa la differenza

Tra proteste silenziose all’orale e polemiche sul sistema scolastico, torna la domanda chiave: il voto finale alla maturità serve davvero?

Maturità: ha ancora senso puntare al 100? Quando il voto non fa la differenza

Negli ultimi giorni, il gesto di alcuni studenti italiani durante l’orale della maturità ha acceso un ampio dibattito. In diverse città – da Padova a Belluno, da Firenze a Treviso – alcuni ragazzi hanno deciso di non rispondere alle domande della commissione, pur avendo i crediti minimi per superare l’esame. Il loro silenzio non è stato casuale: è stato un modo per protestare contro un sistema scolastico che, a loro dire, non valorizza davvero capacità, percorsi personali o condizioni di partenza.

Il risultato? Un voto finale basso ma comunque sufficiente. Rinunciare all’orale, che può aggiungere fino a 25 punti, è stato più che altro un atto simbolico e in effetti, in Italia, il valore del voto finale della maturità è abbastanza relativo. Nella maggior parte delle università italiane, infatti, non serve neanche per l’ammissione. Perfino gli atenei a numero chiuso richiedono il superamento di un test d’ingresso, senza considerare il punteggio dell’esame. Diverso il discorso all’estero, dove in molte università – in particolare quelle private e anglosassoni – servono voti molto alti per accedere. Per chi sogna Oxford o Cambridge, un 95 su 100 può davvero fare la differenza. 

In Italia, tuttavia, il voto può ancora avere un impatto economico. Alcuni atenei offrono borse di studio o sconti sulle tasse universitarie per chi ottiene risultati eccellenti. La “Carta del merito”, per esempio, premia con 500 euro chi prende 100 alla maturità, e con altri 115 euro chi ottiene anche la lode (ma il futuro di questi bonus è incerto e in attesa di rifinanziamento).

Nel mondo del lavoro privato, invece, il voto di maturità conta poco o nulla. Lo confermano diverse agenzie di recruiting: le aziende preferiscono valutare soft skills, motivazione e capacità relazionali. Anche in fase di colloquio, il voto può al massimo essere un riferimento in caso di dubbi, ma non è mai decisivo.

Diversa la situazione nei concorsi pubblici. Qui il diploma con voto minimo (60/100) basta per partecipare, ma in alcuni casi sono previsti punteggi aggiuntivi per chi si è diplomato con risultati più alti. Polizia, Marina, Poste e aziende pubbliche come Trenitalia continuano infatti ad inserire il voto tra i criteri di selezione.

Alla luce di tutto questo, la protesta di questi maturandi ha colpito più per il gesto simbolico che per le sue conseguenze concrete. Ma ha anche riportato al centro il tema del senso dell’esame di maturità oggi: misura davvero le capacità? O è solo un rito di passaggio che ha perso parte del suo significato?

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