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Astronomia
22 Luglio 2025 - 21:25
Il buco dell’ozono, simbolo storico delle battaglie ambientali, è di nuovo sotto minaccia. Stavolta però non sono i clorofluorocarburi (CFC) i principali responsabili, ma l’aumento vertiginoso dei lanci di razzi spaziali, destinato a intensificarsi nei prossimi anni. A lanciare l’allarme è uno studio pubblicato su npj Climate and Atmospheric Science, guidato dall’Università di Canterbury e firmato da un team di esperti internazionali.
Secondo i ricercatori, se non si agisce per tempo, l’espansione dell’industria spaziale potrebbe ritardare di anni – o addirittura decenni – il recupero completo dello strato di ozono, previsto attualmente per il 2066.
Nel 2019 si contavano 97 lanci di razzi in tutto il mondo. Nel 2024, si è già saliti a 258. E se il trend continuerà, potremmo arrivare a oltre 2.000 lanci all’anno entro il 2030, con conseguenze dirette sull’atmosfera. Lo studio evidenzia che i razzi e i detriti spaziali in rientro rilasciano sostanze inquinanti – come cloro gassoso e particelle di fuliggine – che rimangono in quota fino a 100 volte più a lungo rispetto a quelle emesse a livello del suolo, per via della mancanza di processi naturali di rimozione.
Anche se la maggior parte dei lanci avviene nell’emisfero nord, la circolazione atmosferica globale diffonde questi inquinanti ovunque, incluso l’Antartide, dove il buco dell’ozono continua a formarsi ogni primavera.
Usando un modello climatico avanzato, i ricercatori hanno simulato l’effetto delle emissioni missilistiche previste per il 2030. Risultato: una riduzione dello spessore medio globale dell’ozono dello 0,3%, con picchi stagionali fino al 4% nell’Antartide. E tutto questo solo considerando le emissioni in fase di lancio, senza contare quelle prodotte dal rientro dei satelliti, oggi sempre più frequente con l’aumento delle costellazioni in orbita bassa.
Le sostanze più pericolose rilasciate dai razzi sono:
Cloro gassoso, che distrugge direttamente le molecole di ozono
Fuliggine, che riscalda l’atmosfera e accelera le reazioni chimiche che degradano l’ozono
Attualmente, solo il 6% dei lanci utilizza propellenti criogenici a base di ossigeno liquido e idrogeno, che non danneggiano lo strato di ozono. Tutti gli altri sistemi di propulsione producono emissioni altamente inquinanti.
Lo strato di ozono globale è ancora inferiore del 2% rispetto ai livelli preindustriali, ma si stava lentamente riprendendo grazie al Protocollo di Montreal, che ha vietato l’uso dei CFC. Ora, però, lo sviluppo incontrollato dell’industria spaziale rischia di vanificare decenni di sforzi.
«Serve un’azione coordinata e regolamentata, prima che sia troppo tardi», ha affermato Sandro Vattioni, co-autore dello studio. Monitorare le emissioni, limitare i carburanti dannosi e incentivare tecnologie alternative sono gli unici strumenti per garantire che il buco dell’ozono continui a chiudersi.
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