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Risiko bancario in Piemonte
05 Novembre 2025 - 11:50
Piccola ma ambita: nel cuore del Nord-Ovest si gioca una partita che può ridisegnare una porzione significativa della mappa bancaria italiana. Banca d'Asti, banca radicata sul territorio ma ormai al centro dei radar dei grandi gruppi, è diventata l’oggetto del desiderio di Credem, l’istituto emiliano controllato dalla famiglia Maramotti, e di Banco Bpm. Tra regole stringenti per le fondazioni, pressioni politiche locali, numeri solidi ma migliorabili e un dossier di vigilanza in via di soluzione con Banca d’Italia, la contesa si sta definendo lungo tre assi: governance, territorio e capacità di generare utili nel medio periodo. Chi saprà parlare al cuore delle fondazioni senza tradire l’identità astigiana?
IL PERIMETRO DELL’OPERAZIONE: CREDEM E LA FAMIGLIA MARAMOTTI
Secondo quanto riferito da Milano Finanza, Credem ha manifestato interesse per una fusione con Cr Asti, avviando negoziati con Equita, advisor della Fondazione Cr Asti presieduta da Livio Negro. L’obiettivo è acquisire la maggioranza dell’istituto. Il piano, nelle intenzioni emerse, si regge su due pilastri. Primo: l’assetto azionario e di controllo. Credem può contare su una struttura societaria stabile, dominata dalla famiglia Maramotti tramite Credito Emiliano Holding, che possiede il 79,8% del capitale, garanzia di orizzonte di lungo termine e continuità decisionale. Secondo: l’operatività. Le aree geografiche di Credem e Banca d'Asti non si sovrappongono in misura rilevante, eliminando il rischio di dover alienare sportelli e liberando margini per efficienze operative, anche nelle unità di produzione interna di servizi. In altre parole, più sinergie e meno attriti. Non basta, però.
Per concretizzare il progetto, Credem ha posto una condizione: un’intesa complessiva con gli altri soci di rilievo, le fondazioni di Biella (12,91%), Vercelli (4,2%) e Fondazione CRT (6%). Questo passaggio è cruciale non solo per sommare consensi, ma per definire un patto chiaro sul futuro: destinare risorse al contesto locale, mantenere una forte attenzione alle comunità e garantire dividendi sostenibili. Un messaggio calibrato su ciò che le fondazioni considerano essenziale. Inoltre, la caratteristica territoriale dell'istituto è rappresentata da un patrimonio di 30mila investitori e piccoli azionisti locali.
Nel frattempo, la politica locale chiede voce in capitolo. Il sindaco di Asti, Maurizio Rasero, espressione del centrodestra e membro consiglio della Fondazione, ha sollecitato un coinvolgimento attivo di Comune e Provincia nelle scelte sul destino della banca. Un segnale: l’equilibrio tra consolidamento e radicamento territoriale non è solo finanza, è anche consenso e responsabilità pubblica.
I NUMERI DI CARIASTI: SOLIDITÀ E LIMITI
Sul piano prudenziale, Banca d'Asti mostra fondamenta robuste: Cet1 ratio al 17,6%. Ma la redditività resta sotto tono: nei primi sei mesi dell’anno il rendimento sul capitale si è fermato al 6,62%, tra i più contenuti del comparto. È qui che si gioca una parte della narrativa industriale di qualsiasi aggregazione: aumentare il peso delle commissioni e migliorare l’efficienza.
L’istituto guidato dal ceo Carlo Demartini, recentemente prosciolto in appello dalle imputazioni di comunicazioni sociali non veritiere, ha accelerato sul fronte delle fee: studio di incorporazione di unità produttive specializzate e sviluppo commerciale fuori confine storico, con nuove aperture in Liguria e l’ultima sede inaugurata a Sanremo. Non è esclusa la possibilità di rilevare punti operativi lasciati liberi dal mercato, specie se la prossima ondata di fusioni bancarie genererà opportunità. La direzione è chiara: diversificare i ricavi e far crescere il flusso commissionale per sostenere politiche di dividendo più generose.
IL NODO VIGILANZA: VERSO UN’INTESA CON BANCA D’ITALIA
Sullo sfondo, un dossier sensibile. Un’ispezione di Banca d’Italia ha rilevato carenze documentali e applicazioni scorrette o eccedenti di alcune commissioni. La banca ha accantonato circa 6 milioni e ha avviato i rimborsi per i clienti con importi più elevati. Per le somme minime, più complesse da gestire singolarmente, si valuta l’aggregazione e la destinazione, tramite una o più erogazioni liberali, a organizzazioni di utilità sociale. Il dialogo con Via Nazionale dovrebbe chiudersi entro la conclusione dell’anno in corso e le parti sarebbero vicine a un’intesa. È un passaggio importante: la certezza regolamentare vale tanto quanto un punto di Cet1 quando si tratta di convincere azionisti, fondazioni e potenziali partner.
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