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30 Luglio 2025 - 13:30
C’è un mondo che vive e lavora sui social, e in Italia più che altrove ha ormai i contorni di una vera e propria professione. È quello dei creator digitali: persone che, da Instagram a YouTube, da TikTok a LinkedIn, producono contenuti, costruiscono community e collaborano con i brand. Un’attività che richiede creatività, costanza e competenze trasversali, ma che troppo spesso viene ancora trattata come un passatempo.
Secondo lo studio “Creator Economy 2025” di Kolsquare, l’Italia è il Paese europeo con la maggiore percentuale di creator che svolgono questa attività a tempo pieno. Un dato che conferma la forte spinta professionale che si respira nel nostro Paese. Ma dietro questo entusiasmo si nascondono molti problemi: compensi bassi, mancanza di tutele, discriminazioni di genere, stress crescente e un quadro normativo percepito come confuso o, peggio, ostile.
Molti creator italiani riescono a trasformare la loro presenza online in un lavoro vero, ma solo una minoranza ne trae un reddito stabile e dignitoso. Le donne, in particolare, continuano a guadagnare meno dei colleghi uomini, anche a fronte dello stesso impegno e di community altrettanto attive. E se per alcuni la creazione di contenuti è una scelta di carriera, per altri resta una seconda attività, spesso portata avanti la sera o nei ritagli di tempo.
Il problema non è solo economico. Molti professionisti lamentano difficoltà nella gestione dei rapporti con i brand: ritardi nei pagamenti, richieste poco realistiche, comunicazioni vaghe o eccessivo controllo creativo. Anche la questione della proprietà dei contenuti, dall’uso delle immagini ai diritti musicali, è ancora un terreno incerto.
In un panorama così complesso, emerge però un dato interessante: per molti creator italiani i valori contano più del compenso. Quando scelgono con chi collaborare, non guardano solo al budget, ma anche alla coerenza tra i messaggi del brand e quelli che vogliono trasmettere alla propria community. Temi come la sostenibilità, l’inclusività, trasparenza o i diritti civili diventano parte integrante della loro identità digitale.
Per affrontare la mole di lavoro – spesso su più piattaforme contemporaneamente – molti creator si affidano sempre più all’intelligenza artificiale: la usano per scrivere testi, generare idee, ottimizzare i contenuti. Una forma di automazione che alleggerisce il carico, ma non elimina il peso mentale: scadenze, aspettative, visibilità costante e la fatica di tenere separata la vita privata da quella pubblica sono fattori di stress riconosciuti da gran parte dei professionisti.
A rendere tutto più difficile è la quasi totale assenza di tutele. Le leggi esistono, ma sono poco conosciute, frammentate o percepite come penalizzanti. Molti creator non sanno a chi rivolgersi, non hanno rappresentanza e affrontano in solitudine problemi complessi come la fiscalità, i contratti o le dispute legate ai contenuti.
Eppure, quello della content creation è un comparto in continua espansione, che muove economie, plasma immaginari e costruisce cultura.
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