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26 Agosto 2025 - 13:10
Da anni i giornali online europei pongono lo stesso bivio ai lettori: accettare i cookie per accedere gratuitamente ai contenuti o pagare un abbonamento. Una scelta apparentemente semplice che, però, solleva complesse questioni di privacy e di diritto.
L’organizzazione Noyb, fondata da Max Schrems, contesta la legittimità del modello. Secondo i suoi studi, i ricavi dalla pubblicità profilata rappresentano appena il 5% delle entrate complessive dei giornali, ovvero circa 0,24 euro al mese per utente. Una cifra minima che, secondo Noyb, smonta la narrativa secondo cui la rinuncia ai cookie giustificherebbe tariffe elevate. Inoltre, i dati mostrano come la stragrande maggioranza degli utenti rifiuti la profilazione se non costretta a pagare. Quando invece l’alternativa è solo tra accettare o sborsare, il consenso diventa una scelta obbligata: il 99% accetta i cookie.
La questione è arrivata in tribunale con il giornale austriaco Der Standard, che proponeva la scelta tra profilazione o un abbonamento da 8 euro senza pubblicità. La Corte federale amministrativa di Vienna ha bocciato il sistema, chiarendo che lo scopo giornalistico previsto dal GDPR non riguarda il modello di business, ma la libertà editoriale. Inoltre, il consenso ai cookie deve essere granulare, distinto per ogni trattamento, e non unico per tutti gli scopi, come avveniva nel banner di Der Standard.
In Italia, il Garante della Privacy ha aperto una consultazione pubblica per valutare soluzioni meno drastiche. Alcuni editori offrono già una “terza via”: un piccolo contributo mensile (1-2 euro) per leggere senza profilazione, ma senza dover sottoscrivere un abbonamento completo. Un compromesso che riduce la pressione sugli utenti, ma che non risolve del tutto i dubbi giuridici.
Il Comitato europeo per la protezione dei dati (Edpb), che riunisce i garanti dei 27 paesi UE, ha affrontato il tema già nel 2023. L’orientamento emerso è che, soprattutto per le grandi piattaforme online, una scelta binaria difficilmente garantisce un consenso realmente libero. Da qui il suggerimento di offrire un’alternativa equivalente, ad esempio la pubblicità non personalizzata.
La questione, però, non riguarda solo la privacy. Secondo alcuni osservatori, il fatto che gli utenti non scelgano di pagare indica che non percepiscono la profilazione come un rischio sufficiente a giustificare un costo. C’è anche un elemento culturale: da vent’anni ci siamo abituati a leggere le notizie online gratuitamente, rendendo difficile far accettare agli utenti l’idea di pagare.
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