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Smart working e sostenibilità: non basta lavorare da casa per essere “green”

Il lavoro da remoto ha potenziali benefici ambientali, ma serve una pianificazione urbana efficace per renderli strutturali

Smart working e sostenibilità: non basta lavorare da casa per essere “green”

Il lavoro da remoto viene spesso indicato come una delle strategie più promettenti per ridurre traffico, consumi energetici e inquinamento, ma la realtà è più complessa. Secondo lo studio “Remote Work: Evolving Travel Behaviours and Their Impacts on Environmental Sustainability” condotto dai ricercatori dell’ENEA Roberta Roberto e Alessandro Zini, i benefici ambientali dello smart working dipendono da molte variabili e non sono garantiti.
Spostare il lavoro dall’ufficio a casa o a uno spazio di co-working può effettivamente diminuire la domanda di mobilità, con effetti positivi su traffico e qualità dell’aria, ma non è detto che questi vantaggi si traducano in un effettivo risparmio energetico. Anzi, in alcuni casi gli impatti positivi possono essere attenuati – o del tutto annullati – da fenomeni come i cosiddetti “effetti rimbalzo”.

Un esempio concreto riguarda chi sceglie di vivere in aree periferiche. Anche se lavora da casa, potrebbe percorrere distanze maggiori per altre esigenze, vanificando così il risparmio ottenuto evitando il tragitto casa-lavoro. A questo si aggiunge il tema dei consumi domestici: più ore trascorse in casa per motivi lavorativi significano più spese per riscaldamento, raffrescamento, illuminazione ed elettronica, soprattutto se gli uffici restano comunque aperti e operativi, consumando energia anche in assenza di personale.

Lo studio ha analizzato anche un campione di circa 2.000 lavoratori pubblici in smart working in quattro città italiane: Bologna, Roma, Trento e Torino. Prima dell’introduzione del telelavoro, il campione percorreva in media 30 km al giorno con un tempo di viaggio medio di 1 ora e 20 minuti, ma con punte critiche: a Roma, ad esempio, i tragitti arrivavano in media a 2 ore al giorno, con una forte dipendenza dall’auto privata (47% degli spostamenti totali).
Il lavoro da remoto, anche se limitato a 2,1 giorni a settimana, ha portato a un risparmio medio giornaliero di 6 kg di CO₂ e 85 MJ di carburante per ciascun lavoratore. Tradotto su base annua (48 settimane), ogni dipendente ha evitato l’emissione di circa 600 kg di CO₂ e il consumo di 8,6 GJ di carburante – l’equivalente di 260 litri di benzina o 237 litri di gasolio. Le riduzioni maggiori sono state rilevate proprio dove le distanze e la congestione del traffico sono più alte.
C’è però un altro effetto da considerare: l’incremento della mobilità di quartiere. Anche se i lunghi spostamenti si riducono, i comportamenti quotidiani possono cambiare, portando a nuovi consumi e nuove abitudini, non sempre più sostenibili.

Affinché lo smart working porti benefici ambientali stabili, spiegano i ricercatori, serve una visione urbanistica integrata. Significa progettare città più compatte e connesse, dove abitazioni, uffici e servizi siano vicini e facilmente accessibili senza auto. Ma significa anche investire in trasporto pubblico e mobilità attiva, con piste ciclabili, marciapiedi sicuri e collegamenti efficienti in ogni quartiere.

Infine, la trasformazione deve coinvolgere anche le persone: non basta informare, è necessario motivare comportamenti sostenibili, creando campagne di sensibilizzazione, strumenti di feedback e partecipazione pubblica per adattare le strategie alle esigenze dei territori.

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