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Università
23 Settembre 2025 - 14:30
Il tema del riscatto della laurea è tornato al centro del dibattito politico e sociale. Sempre più lavoratori si interrogano sull’opportunità di trasformare gli anni trascorsi all’università in contributi utili per la pensione, evitando così di “perdere” quel periodo formativo ai fini dell’anzianità contributiva. Ma la scelta non è semplice: il costo elevato, soprattutto con la formula ordinaria, frena molti potenziali interessati.
Oggi l’onere da versare varia a seconda del periodo degli studi e del sistema pensionistico in vigore. Per chi ha frequentato l’università dopo il 1996, il calcolo è legato alla retribuzione percepita, con cifre che possono arrivare a decine di migliaia di euro. Non a caso, negli ultimi anni ha preso piede il riscatto agevolato, introdotto nel 2019, che fissa il costo annuo a circa 6.100 euro indipendentemente dal reddito, rendendo l’operazione più accessibile.
Le valutazioni sulla convenienza dipendono però dalla situazione personale. Per i giovani o per chi è lontano dalla pensione, il riscatto può rappresentare un investimento utile, rateizzabile fino a 120 mesi e capace di garantire una pianificazione previdenziale più solida. Per chi è invece vicino alla pensione di vecchiaia, i vantaggi risultano più limitati: l’aumento dell’assegno è minimo e spesso non ripaga l’esborso sostenuto.
Nelle ultime settimane, il tema si è riacceso grazie a una proposta di legge che punta ad abbattere i costi: l’idea è fissare il prezzo del riscatto a 900 euro per anno di corso, con particolare attenzione al personale scolastico. Una misura che ridurrebbe drasticamente l’attuale spesa, trasformando un riscatto quinquennale da oltre 30.000 euro a meno di 5.000.
Se la norma venisse approvata, si aprirebbe una nuova fase, rendendo il riscatto della laurea non più un privilegio per pochi, ma uno strumento accessibile per una platea molto più ampia di lavoratori, con effetti rilevanti sul futuro delle pensioni in Italia.
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